La partita delle materie prime critiche (MPC) è diventata il nuovo terreno della competitività industriale. Lo studio “La geopolitica delle Materie Prime Critiche: le opportunità del Piano Mattei e dell’urban mining per la competitività industriale in Italia”, realizzato da TEHA Group per Iren e presentato a Ecomondo, mette in chiaro la posta: domanda in forte crescita, catene di fornitura concentrate, Europa esposta, Italia al bivio.
Iren: Materie prime critiche, la miniera è in casa (e in Nord Africa)
Nel triennio 2021–2024 la domanda mondiale di MPC è salita dell’11% e, da qui al 2030, è atteso un ulteriore +34%. La corsa all’intelligenza artificiale e ai data center può spingere la richiesta di minerali strategici di un altro +10% già entro fine decennio. Mentre la fame di litio, grafite, cobalto, terre rare e titanio aumenta, l’86% della raffinazione è in mano ai tre principali Paesi fornitori, con la Cina in posizione dominante.
Risultato: l’Unione europea resta dipendente dall’estero, pur avendo filiere industriali che valgono 3,9 trilioni di euro (il 22% del PIL dell’Unione) abili tate proprio dalle MPC. L’Italia è la più esposta: il 31% del PIL nazionale (circa 675 miliardi) dipende da tecnologie e processi che incorporano materiali critici. Il rischio non è accademico. Un blocco delle forniture di terre rare e titanio metterebbe in pericolo fino a 700 miliardi di produzione industriale europea, 88 miliardi in Italia, toccando settori ad alto valore aggiunto (aerospazio, dispositivi elettro medicali, automotive, magneti permanenti).
Da qui l’appello del Presidente esecutivo di Iren, Luca Dal Fabbro: “Il percorso verso l’autosufficienza resta complesso: l’Italia non dispone di riserve minerarie significative per l’estrazione di Materie prime critiche e la filiera del processing e della raffinazione richiede economie di scala difficili da sviluppare in un contesto nazionale”.
E l’avvertimento: “Oggi l’Unione Europea importa 4,7 miliardi di Euro di titanio e 1,4 miliardi di Euro di terre rare e dipende in misura significativa da un numero ristretto di Paesi fornitori. Una interruzione delle forniture metterebbe a rischio fino a 700 miliardi di Euro di produzione industriale europea. Per l’Italia, l’esposizione potenziale associata al blocco di queste MPC è stimata fino a 88 miliardi di Euro. Per questo motivo le maggiori opportunità future si concentrano su due leve prioritarie e sinergiche. La prima è il rafforzamento delle partnership internazionali, seguendo l’esempio di Cina e Stati Uniti, per garantire l’approvvigionamento di materie prime vergini e sviluppare relazioni strategiche attraverso il Piano Mattei, orientato alla cooperazione industriale con i Paesi africani. La seconda leva è l’investimento nell’Economia Circolare dei RAEE, volto ad aumentare i volumi raccolti, incrementare la capacità e la diffusione degli impianti di riciclo e favorire anche l’import di materie prime seconde da partner europei e mediterranei”.
Il Critical Raw Materials Act fissa traguardi ambiziosi a quota 2030 (almeno 10% estrazione Ue, 40% raffinazione, 25% riciclo, e dipendenza da singoli Paesi sotto il 65%), ma la capacità dei 47 progetti strategici approvati oggi copre solo una parte del fabbisogno (circa 35% degli obiettivi di estrazione, 12% di processing, 24% di riciclo). Tradotto: l’Europa deve correre su tre binari insieme - partnership internazionali stabili, capacità industriali lungo tutta la filiera, materie prime seconde da economia circolare. Qui entra in gioco il Piano Mattei.
Ad oggi non include progettualità su economia circolare e riciclo RAEE, ma il Nord Africa da solo genera circa 1,5 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici l’anno (il 42% del totale africano), pari all’83% dei RAEE italiani: un giacimento urbano che può valere fino a 2,5 miliardi di euro di materie prime critiche recuperabili e un risparmio di 5,1 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, l’emissione annua di 2,5 milioni di auto in Italia. Partnership industriali mirate - con standard ambientali e sociali elevati, tracciabilità e ritorni per le comunità locali - trasformerebbero il Mediterraneo in una dorsale di sicurezza delle forniture, a beneficio anche delle filiere italiane di componentistica, energia e mobilità elettrica. La leva più rapida, però, è domestica. La “tassa RAEE” proposta dalla Commissione europea nel luglio 2025 (2 euro per ogni chilo non raccolto rispetto al target del 65%) costerebbe all’Italia 2,6 miliardi l’anno, perché nel 2024 abbiamo intercettato correttamente appena il 29,6% dei RAEE (7 punti sotto la media Ue). È il classico costo del non fare: denaro che esce senza generare valore.
Lo sottolinea Valerio De Molli, Managing Partner & CEO di The European House-Ambrosetti e TEHA Group: “La nuova ‘tassa RAEE’ rischia di trasformarsi in un costo del non fare per l’Italia, ma lo stesso ammontare - 2,6 miliardi di Euro - investito lungo la filiera nazionale del riciclo potrebbe coprire fino al 66% del fabbisogno italiano di Materie Prime Critiche e valorizzare ogni anno 1,7 miliardi di Euro di materiali oggi dispersi”.
La rotta è chiara. Con 2,6 miliardi l’anno - gli stessi che pagheremmo in sanzioni - l’Italia può finanziare tre mosse concrete: più raccolta (target su grandi elettrodomestici ed elettronica di consumo, logistica intelligente, incentivi al conferimento), più impianti e innovazione (raffinazione selettiva, chimica del recupero, magneti e batterie come “miniere urbane”), un vero mercato delle materie prime seconde (aste, contratti di lungo periodo, standard di qualità per l’industria).
A regime, significa coprire il 66% del fabbisogno nazionale di MPC e valorizzare 1,7 miliardi di euro di materiali oggi perduti. In un’epoca in cui chip, magneti, batterie e fotovoltaico dipendono da materiali rari, la miniera del futuro non è (solo) sotto terra: è nelle nostre città. Se l’Italia saprà accelerare su urban mining e partnership transcontinentali, trasformerà la vulnerabilità in vantaggio competitivo.