I Clean Lifers sono i consumatori consapevoli, quelli che cercano di salvare il pianeta modificando le loro abitudini di consumo e che oggi sono a tutti gli effetti una buona fetta di mercato da soddisfare. Il sistema tessile è in fermento, le aziende stanno cercando nuove vie eco sostenibili per i loro prodotti, incentivando la ricerca su questo fronte dando un nuovo imput all’industria mossa dal movimento Sustainable Fashion. Le nuove realtà eco-tessili, che stanno crescendo nel mercato e che si sono fatte portatrici dell’esigenza di sostenibilità nel settore moda stanno sostituendo le fibre sintetiche con quelle naturali. Accanto al cotone biologico, che presenta un impatto ecologico molto inferiore rispetto a quello tradizionale, hanno impostato la loro produzione su fibre naturali innovative e maggiormente ecosostenibili, come la canapa, il lino, l’ortica, le fibre derivanti da alghe, il bambù, l’eucalipto, legno di faggio, il ricino certificate GOTS (Global Organic Textile Standard, riconosciuto come il più importante standard per la produzione sostenibile di indumenti e prodotti tessili realizzati con fibre naturali da agricoltura biologica come cotone biologico o lana biologica) e sull’utilizzo di sostanze e tinture atossiche. Le piante da cui si ricavano le fibre naturali sono risorse rinnovabili, consentono un’alta resa, non necessitano di prodotti chimici né di irrigazioni artificiali per la loro crescita e conferiscono durevolezza e biodegradabilità alle fibre da esse prodotte. Il tessile ecosostenibile ha fatto proprio il concetto di sostenibilità integrale e lo ha dimostrato attraverso la valorizzazione del rifiuto come pregiata risorsa produttiva (lana riciclata, il nylon rigenerato etc.).
Aderendo a quest’ottica di riuso, alcune aziende tessili hanno sposato in pieno i presupposti dell’Economia Circolare, realizzando una stupefacente performance di ecosostenibilità attraverso la trasformazione di sottoprodotti agricoli destinati alla discarica, come le bucce degli agrumi, la vinaccia, le foglie d’ananas, in materiali tessili innovativi, pregiati e cruelty-free. Declinando tutto questo in prodotto un esempio tra gli altri: il piumino Moncler, BIO-based, novità del 2020, frutto della collaborazione con i dipartimenti ricerca e sviluppo dei partner di Moncler, realizzato con tessuto, fodera, bottoni e zip derivanti da semi di ricino, materia prima che, rispetto ad una fonte di origine fossile, consente una riduzione delle emissioni di CO2 di circa il 30%. La pianta del ricino costituisce una fonte rinnovabile e sostenibile: coltivata in regioni aride non destinate all’agricoltura, non sottrae terreno alla produzione alimentare e per crescere richiede quantità di acqua estremamente ridotte. Dopo il lancio di una gamma di prodotti realizzati con materiali riciclati per la linea Moncler Grenoble, con il piumino BIO-based, l’azienda conferma il suo impegno a sperimentare e a collaborare con tutti gli attori della filiera alla ricerca di soluzioni alternative che possano contribuire a contrastare i cambiamenti climatici, garantendo al tempo stesso gli alti standard di qualità e tecnicità tipici dei propri capi. Adidas offre invece la prima sneaker in pelle vegetale, versione Vegan della mitica Stan Smith, firmata dalla vegetariana Stella McCartey, stilista inglese vera pioniera del Sustainable Fashion. Prada annuncia che non userà più pellicce per i suoi brand, mentre la stilista Mara Hoffman americana, quindici anni dopo la fondazione del suo brand omonimo, è avanti anni luce a tutti ed è ormai una dei big della moda ecosostenibile soprattutto grazie al suo beachwear nature friendly in econyl®, un brevetto di nylon rigenerato. La moda ecosostenibile è prodotta in fabbriche selezionate e controllate, che compensano attivamente le proprie emissioni di carbonio attraverso le linee guida Carbon Neutral. Misurare e controllare il Carbon Footprint di un’azienda è un passo fondamentale verso l’adozione di pratiche commerciali ecosostenibili. Il Carbon Footprint misura le emissioni complessive di gas serra prodotte o causate dall’attività dell’organizzazione e, oltre ad identificare la fonte principale delle emissioni, promuove la diminuzione del consumo di energia e di materie prime e può essere di due tipi: il Corporate Carbon Footprint (CCF) copre l’intera attività di un’impresa mentre la Product Carbon Footprint (PCF) copre l’intero ciclo di vita di un prodotto o servizio, partendo dalla catena di fornitura, passando per l’utilizzo fino allo smaltimento. Il Clean lifer è un cosumatore consapevole e molto attento che, prima di acquistare un prodotto, ne studia l’etichetta nel dettaglio, cercando tutte le informazioni che confermino il percorso ecosostenibile. A questo punto se fare del bene per il futuro del pianeta, può essere anche una grande opportunità in grado di muovere molti guadagni, ragione in più per crederci!