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Giustizia in bilico: il referendum che divide l’Italia

- di: Jole Rosati
 
Giustizia in bilico: il referendum che divide l’Italia
Giustizia in bilico: il referendum che divide l’Italia
La maggioranza corre verso il voto popolare, l’opposizione alza i toni: cosa cambierebbe e perché la partita è politica oltre che istituzionale.

Il centrodestra ha deciso di spingere sull’acceleratore e di portare la separazione delle carriere davanti agli elettori. L’iniziativa punta a certificare per legge due percorsi distinti: da una parte i giudici, dall’altra i pubblici ministeri, con carriere non comunicanti. Per i promotori è la strada per avere processi più equi e ruoli più chiari; per i contrari, è il rischio di indebolire la terzietà e comprimere l’autonomia dell’ordine giudiziario.

Cosa prevede davvero la riforma

Nel nuovo impianto ogni toga sceglie all’ingresso se diventare giudicante o requirente. Il passaggio dall’una all’altra funzione verrebbe bloccato, insieme a una riorganizzazione del governo autonomo che separa gli organi di autogoverno. L’obiettivo, dichiarato dai sostenitori, è ridurre le aree grigie tra chi accusa e chi giudica, evitando possibili conflitti di ruolo e rafforzando la percezione di imparzialità.

Il nodo, per i critici, è duplice: da un lato la dipendenza funzionale dei pm dall’esecutivo che potrebbe crescere per via di nuove catene di comando; dall’altro il timore che due carriere rigidamente distinte producano silos professionali meno permeabili al confronto giuridico, con effetti sulla qualità delle indagini e delle sentenze.

La strategia politica

La maggioranza punta a un referendum confermativo in tempi stretti, convinta di trasformare il tema in una bandiera identitaria. In prima fila si muovono i promotori che annunciano comitati e raccolta firme anche tra gli eletti, mentre i partner di governo insistono nel non personalizzare la consultazione sulla premier. “Noi non chiederemo mai un voto sulla Meloni: chiederemo agli italiani se la giustizia va bene così o va riformata”, ha chiarito Giovanni Donzelli.

Sul fronte opposto, la rete del “no” si allarga: partiti di opposizione e mondo togato preparano una mobilitazione nazionale, convinti che l’intervento finisca per mettere sotto pressione la magistratura. “Vogliono mettere sotto controllo la magistratura: i no vinceranno”, è il refrain rilanciato dai contrari.

Le frasi che pesano

Nel giorno della spinta finale, il ministro della Giustizia sceglie un’immagine destinata a restare. “Non solo valeva una candela, ma perfino un candelabro”, dice Carlo Nordio per ribadire il senso della riforma e respingere le obiezioni definite una “litania petulante”. Dal fronte degli scettici, l’Associazione nazionale magistrati mantiene la guardia alta: il presidente Cesare Parodi si dice pronto a valutarne anche le conseguenze interne, “doverose” in caso di vittoria dei “sì”.

Come si arriva alle urne

Il percorso costituzionale impone doppia lettura per ogni Camera, a distanza di tre mesi. Se il quorum dei due terzi non viene raggiunto nella seconda deliberazione, si apre la strada al referendum confermativo. Una volta pubblicata la legge, partono i termini per la richiesta e le verifiche della Cassazione, quindi la fissazione della data. I promotori sintetizzano: “Prima si farà, meglio sarà”, sottolinea il viceministro Francesco Paolo Sisto.

Perché il referendum è un passaggio-chiave

La consultazione è un test su tre piani. Primo, la qualità dell’architettura istituzionale: separare le carriere garantisce davvero più imparzialità? Secondo, l’equilibrio tra poteri dello Stato: fino a che punto si può rimodellare l’ordine giudiziario senza intaccarne l’indipendenza? Terzo, il peso politico: il voto può trasformarsi in un giudizio sul governo, con effetti diretti sulla legislatura.

I rischi sottovalutati

La storia recente insegna che i referendum sulla giustizia soffrono l’astensione. Un’affluenza bassa rovescia il confronto in una battaglia di minoranze organizzate, in cui contano macchine mediatiche e reti territoriali. C’è poi il tema dei tempi della giustizia: è improbabile che la sola separazione delle carriere sblocchi arretrati, colli di bottiglia e carenze di organico senza un piano serio su digitalizzazione, assunzioni e performance.

Volti e messaggi in campo

Il centrodestra medita di affiancare alla campagna tecnici e personalità pubbliche. Alcuni nomi evocati hanno già messo i paletti: chi sostiene l’impianto lo fa senza arruolarsi in comitati, chi si è detto favorevole alla separazione delle carriere non intende farsi portavoce di partito. Segno che la materia resta divisiva anche nell’opinione pubblica moderata.

Cosa cambia il giorno dopo

Se prevarranno i “sì”, il sistema giudiziario entrerà in una fase di transizione con nuovi concorsi, ridefinizione dei percorsi professionali, aggiornamento delle scuole e degli organi di autogoverno. Se vinceranno i “no”, il governo incasserà uno stop e tornerà in Parlamento. In entrambi i casi, la vera prova sarà tradurre gli slogan in misure operative su tempi dei processi, qualità delle indagini e tutela dei diritti.

Il cruciverba istituzionale della legislatura

Il referendum sulla giustizia è molto più di una riforma tecnica: è il cruciverba istituzionale della legislatura. La scelta tra due carriere distinte o un modello integrato misurerà maturità politica, cultura delle garanzie e fiducia dei cittadini. Il conto finale non si farà nelle aule televisive ma nell’urna, dove la domanda sarà una sola: quale giustizia vogliamo per i prossimi decenni?

 
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