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Giovani e lavoro, Valditara bacchetta: “Tutto è dovuto”

- di: Bruno Coletta
 
Giovani e lavoro, Valditara bacchetta: “Tutto è dovuto”
Il ministro dell’Istruzione accusa: “Diritti al primo posto, ma nessuno parla più di fatica”. Al Forum in Masseria 2025 l’invito a una “rivoluzione culturale” per rimettere il lavoro al centro della scuola.

Il lavoro scompare dai sogni dei giovani?

“Il tema del lavoro è del tutto minoritario nei nostri giovani”. A dirlo non è un sociologo né un imprenditore, ma il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara (foto), intervenuto oggi sabato 5 luglio al Forum in Masseria 2025. Una dichiarazione che ha fatto rumore, non solo per il tono diretto ma perché intercetta un cambiamento profondo nel modo in cui le nuove generazioni guardano al futuro.

Secondo Valditara, “i ragazzi mettono al primo posto la libertà, i diritti, il vivere bene, ma il lavoro è quasi dimenticato”. Il rischio? “Che tutto venga considerato dovuto, comodo, e qualsiasi difficoltà venga messa da parte”.

Una rivoluzione culturale (con ritorno alle radici)

Il ministro ha evocato la necessità di una “grande rivoluzione” per rimettere al centro “questo grande valore costituzionale” che è il lavoro. E ha proposto un ritorno alla concretezza, a partire dai banchi di scuola: “Sin dalle elementari facciamo vedere ai bambini i lavori artigianali, torniamo a far apprezzare la fatica”.

Non è solo una questione economica, ma un’impostazione culturale. La scuola, secondo Valditara, deve “fornire i presupposti per inserirsi nel mondo del lavoro e realizzare i propri sogni”. La parola d’ordine è “personalizzazione della formazione”: un’educazione capace di valorizzare i talenti, che dia risposte alle diverse inclinazioni e che non si limiti a standard uguali per tutti.

Dietro il monito, i numeri della disillusione

L’allarme lanciato dal ministro non è isolato. I dati confermano che tra i 18 e i 34 anni sono ancora 1,6 milioni i cosiddetti Neet, giovani che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in percorsi di formazione.

Ma c’è di più: secondo un sondaggio Ipsos, solo il 34% dei giovani italiani tra i 18 e i 29 anni si dice “ottimista” rispetto alla possibilità di trovare un lavoro coerente con i propri studi nei prossimi cinque anni.

Una generazione che ha visto genitori logorati dalla precarietà, che ha interiorizzato la flessibilità come rassegnazione e che fatica a immaginare il lavoro come strumento di realizzazione.

Lavoro e diritti: un falso dualismo

Valditara, nel suo intervento, ha parlato anche di “tanta centralità data ai diritti”, sottolineando come, pur essendo “sacrosanti”, non debbano oscurare “la bellezza dei talenti” e la cultura del lavoro. Una posizione che ha acceso il dibattito politico.

L’ex ministro Patrizio Bianchi ha risposto: “I diritti non sono in alternativa al lavoro, ma ne sono la base. Se i giovani chiedono rispetto, inclusione, sostenibilità, non significa che rifiutino l’impegno. Vogliono solo che non sia un sacrificio sterile”.

Anche l’economista Luigino Bruni ha scritto che “è sbagliato leggere il declino dell’etica del lavoro come colpa dei giovani: piuttosto è il mercato che ha svuotato di significato l’impegno, rendendolo spesso invisibile e malpagato”.

Dalla scuola al mercato: un ponte troppo stretto

Il punto, però, resta uno: la scuola italiana prepara davvero al lavoro? Il sistema dell’alternanza scuola-lavoro, oggi riformato in PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento), è stato spesso criticato per la sua inconsistenza.

Secondo una rilevazione, oltre il 60% degli studenti afferma di non aver svolto un’esperienza significativa durante il PCTO, e solo uno su quattro ha avuto contatti con aziende del proprio settore d’interesse.

Valditara rilancia proprio su questo fronte: “Vogliamo che la società sia culturalmente attrezzata per creare e diffondere benessere. Abituiamo i giovani a fare impresa”, ha detto dal palco di Manduria.

La scuola come incubatore di futuro

Nel suo progetto di “scuola del merito”, il ministro ha inserito anche una riforma della didattica orientata alla personalizzazione, già avviata con il Piano Valditara presentato lo scorso febbraio. Tra le misure: tutor individuali, orientamento precoce, ampliamento dell’offerta tecnica e professionale.

Nel documento ufficiale si legge: “L’obiettivo è far emergere le inclinazioni personali e garantire libertà di scelta nei percorsi scolastici e professionali, puntando a una piena occupabilità”.

Ma la motivazione non si insegna

Resta però un nodo irrisolto: si può “insegnare” il valore della fatica? La sociologa Chiara Saraceno ha risposto con scetticismo: “Non si può imporre ai ragazzi l’idea di sacrificio come virtù in sé. Va mostrato loro un lavoro che abbia senso, che sia giusto, che dia risultati. Il resto verrà da sé”.

Un pensiero condiviso anche da molti educatori: il problema non è la mancanza di rispetto per il lavoro, ma la mancanza di prospettive.

Educare alla realtà, non alla nostalgia

Il richiamo di Valditara è forte, ma rischia di restare retorico se non accompagnato da misure strutturali. Se i giovani sembrano aver dimenticato il lavoro, è anche perché il lavoro ha dimenticato i giovani.

Serve davvero una “rivoluzione culturale”, ma che sia capace di andare oltre gli slogan. Una scuola che forma, orienta e non giudica. Una politica che ascolta, investe e non rimprovera. E un mondo del lavoro che torni ad avere il coraggio di offrire più futuro che frustrazione.

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