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Tokyo alza la voce: “I dazi di Trump sono un affronto inaccettabile”

- di: Jole Rosati
 
Tokyo alza la voce: “I dazi di Trump sono un affronto inaccettabile”
Il Giappone condanna le nuove tariffe USA: “Così si colpisce un alleato”. Il premier Ishiba (foto) cerca il dialogo, ma il tempo stringe. L’ombra lunga del protezionismo preoccupa anche Seul e Bruxelles.

Tokyo punta i piedi, ma tenta il dialogo

Il governo giapponese non usa mezzi termini: l’annuncio della Casa Bianca sui nuovi dazi al 25% sui beni industriali nipponici è stato definito “estremamente deplorevole”. È una presa di posizione netta quella del premier Shigeru Ishiba, che in conferenza stampa a Tokyo ha denunciato l’unilateralismo dell’amministrazione Trump e l’effetto dirompente sulle relazioni economiche tra due storici alleati.

La decisione americana riguarda auto, componenti elettronici, acciaio e semiconduttori giapponesi, con decorrenza dal primo agosto. “Nonostante tutto, continueremo a negoziare per trovare un’intesa che porti benefici reciproci”, ha dichiarato Ishiba, sottolineando che i colloqui proseguiranno fino alla scadenza fissata da Washington. Il Giappone è riuscito finora ad evitare imposte ben più pesanti – si parlava di tariffe fino al 35% – grazie a intense trattative delle ultime settimane.

Il ritorno del ‘Giappone bersaglio’: una questione politica

L’annuncio di Trump si inserisce in un contesto di crescente ostilità commerciale, sempre più segnato dalla logica della pressione e del ricatto. “Trump ha bisogno di trovare nemici esterni per rafforzare il consenso interno, e il Giappone è un obiettivo facile: grande surplus commerciale, alleato troppo indipendente, e simbolo di una globalizzazione che il trumpismo detesta”, spiega Tobias Harris, analista del Japan Institute for Global Studies.

Il settore automobilistico giapponese, con marchi come Toyota, Honda e Nissan, rappresenta da anni un nervo scoperto per il protezionismo americano. Ma colpire anche componenti elettronici e acciaio equivale a sabotare le catene del valore che legano le due economie.

Pressioni su Ishiba: il dilemma di un premier moderato

Ishiba, salito al potere nel 2024 con una piattaforma centrata sul rilancio industriale e il riavvicinamento strategico all’Occidente, si trova ora in una posizione delicata. L’industria giapponese preme per una risposta ferma. La Keidanren, la potente lobby industriale nipponica, ha espresso “profonda preoccupazione” per gli effetti a catena delle misure americane e ha chiesto “una risposta coordinata con l’Unione europea e i partner del CPTPP”.

Ma il governo, almeno per ora, punta tutto sulla diplomazia. Anche perché l’economia giapponese, pur in ripresa, è ancora fragile: il PIL è cresciuto dello 0,8% nel primo trimestre 2025, frenato dalla debolezza dei consumi interni e dall’export già penalizzato dal rallentamento cinese.

Seoul e Bruxelles seguono con apprensione

Il Giappone non è solo. Anche la Corea del Sud teme di finire nel mirino della Casa Bianca: il ministro del Commercio Kim Jae-hong ha dichiarato che “le nuove tariffe contro Tokyo rischiano di essere il primo passo di una nuova guerra commerciale nel Pacifico”.

L’Unione europea, dal canto suo, si prepara a un confronto serrato con Washington al prossimo G7 di Torino. Bruxelles starebbe valutando un ricorso all’Organizzazione mondiale del commercio, assieme al Giappone, se non si troverà un’intesa prima dell’entrata in vigore dei dazi.

Oltre i dazi: in gioco c’è il sistema multilaterale

L’offensiva tariffaria di Trump ha ormai superato la dimensione bilaterale. È la struttura stessa degli scambi globali a essere sotto attacco. Come scrive l’economista Takatoshi Ito, “se ogni Paese comincia a usare le tariffe come arma di pressione politica, il sistema multilaterale finisce in pezzi. Il Giappone deve scegliere se difenderlo o subire”.

Un appello raccolto anche dalla società civile: in serata, a Tokyo, si sono svolte manifestazioni davanti all’ambasciata americana per protestare contro “il protezionismo autoritario che mette a rischio la pace e la cooperazione”. In piazza studenti, sindacati e rappresentanti delle imprese medie, particolarmente esposte alla contrazione degli ordini USA.

La posta in gioco è geopolitica

In gioco, infine, c’è la posizione stessa del Giappone nello scenario internazionale. Se Tokyo dovesse accettare senza condizioni l’imposizione dei dazi, si rischierebbe un grave indebolimento della sua credibilità strategica. Secondo Yoichi Funabashi, presidente dell’Asia-Pacific Initiative, “resistere a Trump oggi significa difendere l’autonomia dell’Asia domani. Se il Giappone cede, altri seguiranno”.

Non è solo una questione di export: è una partita che riguarda gli equilibri di potere nel Pacifico, il rapporto con la Cina, e la tenuta delle alleanze nel mondo post-occidentale che l’America trumpiana continua a minare con atti unilaterali. Per il Giappone, restare in silenzio non è un’opzione. Ma parlare forte, con fermezza e visione, è ormai una necessità.

Il Giappone davanti al bivio

L’agosto che si avvicina non sarà una semplice scadenza commerciale. È il termine entro cui capire se l’alleanza tra Giappone e Stati Uniti è ancora basata su interessi comuni o se sta diventando un rapporto subordinato, segnato dal sospetto e dal calcolo elettorale. Il tempo per negoziare c’è. Ma il conto, in ogni caso, sarà salato. E il conto lo pagherà, ancora una volta, l’economia globale.

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