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Modi e Xi: a Tianjin contrattacco a Trump

- di: Marta Giannoni
 
Modi e Xi: a Tianjin contrattacco a Trump
Modi e Xi a Tianjin: il drago e l’elefante danzano
India e Cina si riabbracciano al summit Sco: la sfida a Trump, la corsa al Sud globale e la partita di potere nel nuovo ordine multipolare.

(Foto: Xi Jinping e Modi).

Dopo sette anni di distanza diplomatica, il primo ministro indiano Narendra Modi è tornato in Cina per prendere parte al vertice della Shanghai Cooperation Organisation (Sco). Un ritorno che sa di sfida agli Stati Uniti, avvenuto tra abbracci, sorrisi e una coreografia politica ben studiata dal presidente cinese Xi Jinping. Non tanto per siglare accordi immediati, quanto per trasmettere un messaggio inequivocabile: l’ordine internazionale a guida americana non è più indiscusso.

La scena e il messaggio

Le immagini arrivate da Tianjin sono state eloquenti. Modi e Xi hanno parlato di partenariato e non di rivalità, usando la metafora del “drago e dell’elefante” che devono danzare insieme su un palcoscenico condiviso. In pubblico, Xi ha rimarcato il posizionamento della Sco come “un pilastro di stabilità e sviluppo”, ha detto Xi, accreditando l’organizzazione come strumento funzionale a una governance multipolare.

Il presidente cinese ha anche elencato iniziative economiche: verso una piattaforma finanziaria dedicata, un network energetico coordinato e una più ampia fruizione del sistema di navigazione BeiDou. Pacchetto completato da impegni di finanza per lo sviluppo a sostegno di progetti infrastrutturali nell’area Sco.

In apertura dei lavori, il refrain condiviso è stato netto: “Siamo partner, non avversari”, ha detto Xi, rilanciato dagli staff come segnale di disgelo calibrato verso Delhi.

Gli Stati Uniti e l’effetto boomerang dei dazi

Il contesto di questa stretta di mano è segnato da tensioni con Washington. Donald Trump, fedele alla sua linea protezionista, ha imposto dazi su diversi prodotti indiani, minacciando ulteriori irrigidimenti come ritorsione per gli acquisti di petrolio russo. Per Modi, arretrare sui flussi energetici avrebbe significato inviare un segnale di debolezza domestica inaccettabile, in un Paese dove il nazionalismo economico resta una chiave del consenso.

La scelta di recarsi in Cina, dunque, non è stata solo un gesto simbolico ma una risposta calcolata: meglio mostrarsi indipendenti e pronti a diversificare i partner che rimanere incastrati nel ricatto dei dazi. È anche un messaggio alla comunità internazionale: l’India non intende essere trattata da “junior partner” degli Stati Uniti, ma come attore autonomo in un mondo sempre più multipolare.

La partita del sud globale

C’è poi la competizione per la leadership del Sud globale. Sia Pechino sia Nuova Delhi aspirano a parlare per i Paesi emergenti che non vogliono allinearsi né a Washington né del tutto a Pechino. Il vertice Sco è stato il palcoscenico perfetto: una platea ampia di leader africani, asiatici e latinoamericani. Con la sua presenza, Modi ha bilanciato lo show, impedendo che la narrativa fosse monopolizzata da Xi e proponendo l’India come voce alternativa del non-Occidente.

La diplomazia parallela: l’incontro con Cai Qi

Oltre alla passerella pubblica, a Tianjin ha preso corpo un canale più discreto: il confronto tra Modi e Cai Qi, braccio destro di Xi e figura di vertice nel Politburo. Sul tavolo, scambi culturali, cooperazione educativa e investimenti in tecnologie pulite. Temi apparentemente minori che segnalano la volontà di riattivare un dialogo strutturato dopo anni di gelo e di incidenti lungo il confine himalayano.

Autonomia strategica, non alleanza

La scena di Tianjin non va scambiata per un’alleanza. La dottrina indiana resta chiara: partnership su dossier specifici, nessuna adesione a blocchi rigidi. L’India ambisce a essere riconosciuta come potenza autonoma, capace di accordi modulati, senza dipendere né da Washington né da Pechino. È la bussola della cosiddetta autonomia strategica, che continua a guidare la politica estera di Delhi.

Le tensioni irrisolte

Nonostante le strette di mano, le dispute non sono chiuse. La frontiera himalayana resta un punto nevralgico, già teatro di scontri sanguinosi nel 2020. E l’India osserva con crescente fastidio l’espansione cinese nell’Oceano Indiano e nel proprio “cortile di casa”: Sri Lanka, Maldive, Myanmar e Pakistan. È un attrito strutturale che nessuna coreografia può cancellare: al massimo, può essere amministrato.

L’effetto sugli equilibri globali

Il vertice di Tianjin ha prodotto più effetti scenici che decisioni operative. Ma proprio sul piano simbolico Xi ha vinto una mano: ha mostrato un mondo in fermento, con attori pronti a sfidare il monopolio statunitense. Modi, dal canto suo, ha inviato un messaggio altrettanto forte: l’India non si piega ai diktat e non rinuncia al suo ruolo di interlocutore globale.

“L’immagine di Modi accanto a Xi e Putin è una doccia fredda per Washington”, ha scritto un grande quotidiano economico statunitense, cogliendo l’impatto politico della foto di famiglia.

La lezione per Trump

Per Donald Trump, la logica del divide et impera rischia di rovesciarsi. La politica dei dazi può spingere i suoi interlocutori a cercare nuove sponde, persino laddove Washington contava su rapporti privilegiati. “Il paradosso è che le tariffe pensate per indebolire l’India l’hanno spinta a Tianjin, fianco a fianco con Xi e Putin”, ha commentato un autorevole quotidiano indiano.

Un quadro geopolitico ridisegnato

Il summit Sco di Tianjin non ha risolto dispute né siglato alleanze, ma ha ridisegnato il quadro. La Cina tende la mano, l’India riafferma la propria autonomia e la strategia tariffaria americana scopre che gli avversari hanno più resilienza del previsto. La danza del drago e dell’elefante non è un matrimonio: ma basta a cambiare la musica. 

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