Le ultime ore hanno riportato a galla tutta la complessità della questione israelo-palestinese. L’accordo che avrebbe dovuto garantire una tregua a Gaza sembra ormai impantanato in uno stallo carico di tensioni. Da una parte il governo israeliano, che accusa Hamas di aver "rinnegato parti fondamentali dell’intesa"; dall’altra il movimento palestinese, che si dichiara impegnato a rispettare quanto concordato. In mezzo, un contesto che sembra rendere ogni trattativa un terreno minato.
Gaza, stallo sull’accordo: Israele e Hamas ai ferri corti, cresce la pressione su Netanyahu
Il gabinetto di Benjamin Netanyahu ha deciso di sospendere l’attesa riunione per l’approvazione dell’accordo. "Hamas sta cercando di estorcere concessioni dell’ultimo minuto", si legge in una nota ufficiale dell’ufficio del premier israeliano. La linea di Tel Aviv è chiara: non si tornerà a discutere finché i mediatori non garantiranno il pieno rispetto dell’intesa da parte dei palestinesi.
Ma la narrazione cambia osservando il fronte opposto. Un alto esponente dell’ufficio politico di Hamas ha dichiarato che "i miliziani sono impegnati a rispettare l’accordo". Le accuse, in sostanza, vengono respinte. Tuttavia, lo scenario complessivo continua a mostrare una realtà lontana da qualsiasi forma di stabilità.
Il peso del conflitto
Nel frattempo, Gaza continua a pagare un prezzo altissimo. Dall’annuncio dell’accordo, i raid israeliani hanno provocato almeno 73 morti, secondo fonti mediche locali. Un bilancio che, al di là dei numeri, evidenzia la difficoltà di un territorio segnato da anni di assedio, devastazione e conflitto.
Sul fronte israeliano, a premere per una soluzione sono soprattutto le famiglie degli ostaggi, organizzate nel Forum Haim. Il loro bersaglio è diretto: “Netanyahu sarà il responsabile di qualsiasi ulteriore ostacolo al ritorno dei nostri cari”, dichiarano in una nota diffusa nelle scorse ore. La richiesta, categorica, è che l’accordo venga "avviato immediatamente".
Una crisi interna
La vicenda non è solo internazionale, ma si intreccia con le dinamiche interne della politica israeliana. Netanyahu, già sotto pressione per la fragilità della sua coalizione, deve fronteggiare le tensioni provenienti dalla sua destra più estrema. Il ministro Itamar Ben Gvir, uno dei volti più controversi del governo, ha più volte spinto per una linea dura, rendendo ancora più difficile il margine di manovra del premier.
Nel frattempo, il ruolo dei mediatori internazionali rimane centrale. Ma la loro capacità di tenere insieme i fragili equilibri delle due parti appare sempre più limitata.
Tra dubbi e speranze
L’impressione generale è quella di un accordo che, se non sbloccato nelle prossime ore, rischia di diventare l’ennesima occasione persa. Il tempo stringe e il prezzo del ritardo si misura già in vite umane. Sullo sfondo, Gaza resta il simbolo di una ferita che, anno dopo anno, appare sempre più difficile da rimarginare.