L’Idf colpisce il cuore sanitario di Khan Younis. Tra le vittime cronisti di Ap, Reuters, Al Jazeera e Nbc. Netanyahu sotto pressione per l’accordo sugli ostaggi. Borrell accusa l’Ue di complicità.
Gaza, l’ospedale Nasser trasformato in bersaglio
Nel cuore della Striscia di Gaza oggi 25 agosto 2025 l’ospedale Nasser di Khan Younis si è trasformato in un inferno. Due attacchi consecutivi, portati a termine da un drone dell’Idf, hanno colpito la struttura sanitaria provocando almeno 20 morti, tra cui cinque giornalisti. Decine i feriti, molti dei quali già ricoverati nel reparto operatorio al momento dell’impatto. Lo ha confermato il ministero della Sanità di Gaza, sotto amministrazione di Hamas.
Il primo missile ha centrato il quarto piano dell’ospedale, il secondo – a pochi minuti di distanza – ha colpito la scalinata esterna, dove si erano radunati soccorritori, reporter e pazienti in fuga. Una dinamica tipica degli attacchi “double tap”, che colpiscono chi presta soccorso, aggravando il bilancio e creando panico generalizzato.
Un medico della struttura, Saber al-Asmar, ha dichiarato: “Eravamo in piena attività chirurgica. In sala operatoria c’erano studenti, infermieri, pazienti. Il primo attacco ci ha scosso. Il secondo ci ha fatto capire che non eravamo più un ospedale, ma un bersaglio.”
Cinque giornalisti uccisi: la stampa sotto assedio
Fra i 20 morti, cinque nomi raccontano meglio di qualsiasi analisi la drammaticità di questa guerra:
- Mariam Dagga, 33 anni, freelance per AP e Independent Arabia, madre di un bambino di 12 anni evacuato nei primi giorni del conflitto.
- Hossam al-Masri, cameraman a contratto per Reuters, stava girando un video in diretta quando l’immagine si è interrotta bruscamente.
- Moaz Abu Taha, reporter palestinese pubblicato da NBC e da media locali.
- Mohammed Salama, fotoreporter di Al Jazeera, molto attivo nel documentare le condizioni negli ospedali.
- Ahmad Abu Aziz, giornalista che collaborava con testate locali e internazionali.
La Foreign Press Association di Gerusalemme, in un comunicato del 25 agosto, ha definito l’attacco “un colpo diretto alla libertà di stampa”, sottolineando che “il prezzo del racconto da Gaza non può essere la vita di chi lo compie.”
Reporters sans frontières ha parlato di “tentativo sistematico di silenziare le voci indipendenti”, ricordando che dall’inizio del conflitto tra Israele e Hamas, nell’ottobre 2023, sono stati uccisi circa 200 giornalisti, il numero più alto in un conflitto negli ultimi quarant’anni.
Israele annuncia un’inchiesta, ma nega di aver preso di mira i media
Di fronte alla pressione internazionale, l’esercito israeliano ha dichiarato che sarà aperta “un’inchiesta immediata” sull’attacco, precisando che “i giornalisti non sono mai obiettivi” e che l’Idf “si rammarica per eventuali danni arrecati a civili non coinvolti.”
La reazione ha cercato di bilanciare la difesa delle operazioni militari con il riconoscimento della gravità dell’accaduto. La Turchia ha definito il raid “un crimine di guerra” e “un attacco deliberato alla libertà di stampa.”
Borrell: “L’Ue non fa nulla. Complice per inerzia”
In questo scenario, sono risuonate con forza le parole di Josep Borrell, ex Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, che a Santander ha lanciato un atto d’accusa durissimo contro le istituzioni dell’Unione e, più in generale, contro gli Stati membri che continuano a fornire armi e sostegno a Israele.
Borrell ha dichiarato: “Le istituzioni europee non stanno facendo assolutamente nulla, letteralmente nulla, per fermare la carneficina a Gaza. Qualcuno dovrebbe portarle davanti alla giustizia per inazione.”
E ha aggiunto: “Di fronte a questo massacro, l’Unione si limita a sfogliare la margherita, a dire forse faremo sanzioni, ma poi non le fa. È una complicità morale, politica e persino amministrativa.”
Alla domanda su chi fossero i Paesi complici, Borrell ha precisato che si riferiva ai governi europei che continuano a vendere armi a Israele e a sostenere il governo Netanyahu senza alcuna condizionalità. E ha esteso la critica anche agli Stati Uniti: “Solo le opinioni pubbliche dei Paesi sviluppati – quelli che danno armi a Israele – possono fermare questa tragedia.”
Interpretazione chiara: per Borrell, la “complicità” riguarda soprattutto l’Ue politica e i suoi Stati membri che forniscono supporto militare e diplomatico a Israele, oltre agli USA, accusati di mantenere la pressione bellica.
Tajani: “La libertà di stampa va garantita anche a Gaza”
Dalla Farnesina, Antonio Tajani ha espresso rammarico per la morte dei giornalisti e ha ricordato che l’Italia ha già sottoscritto impegni a difesa della libertà di stampa anche in teatri di guerra. “Crediamo sia giusto che i giornalisti possano compiere il loro lavoro anche nella Striscia di Gaza. La nostra posizione non cambia.” A margine di un’udienza con il Papa, ha ribadito l’impegno dell’Italia anche per la tutela delle minoranze cristiane in Palestina e nel Medio Oriente.
Gli ostaggi e la frattura interna a Israele
Il raid sul Nasser Hospital è avvenuto mentre l’esercito israeliano annunciava di aver “creato le condizioni per un accordo” sul rilascio degli ostaggi detenuti da Hamas. Il capo di Stato maggiore Eyal Zamir ha dichiarato: “C’è un accordo sul tavolo, dobbiamo accettarlo. Ora la palla è nelle mani del premier Netanyahu.”
Fonti diplomatiche confermano che Hamas avrebbe accettato un cessate il fuoco di circa 60 giorni, con un rilascio progressivo di ostaggi e prigionieri, ma Netanyahu continua a opporsi a soluzioni parziali e chiede lo smantellamento completo del movimento, bloccando così ogni passo avanti.
La tensione tra l’ala militare e quella politica israeliana è ormai esplicita. E il dramma umanitario della Striscia rischia di essere usato come pedina in uno scontro tutto interno.
Gaza oggi: sanità al collasso, verità sotto le macerie
Gaza è oggi il luogo più letale al mondo per chi fa informazione. Dall’inizio della guerra sono morti circa 200 reporter, operatori video e fotografi. E la loro morte, come quella dei pazienti del Nasser, non è solo un dato di cronaca: è il segno che la guerra non colpisce solo corpi e ospedali, ma anche la possibilità di raccontarli.
Le immagini delle ambulanze che portano via le salme dai cortili dell’ospedale, i video interrotti bruscamente da un’esplosione, i selfie pubblicati l’ultimo giorno da Mariam Dagga: tutto racconta un conflitto in cui la verità diventa una vittima collaterale.
Il silenzio come arma
Colpire un ospedale significa colpire il cuore della civiltà. Colpire chi documenta quell’attacco significa provare a spegnere la luce. È questo il senso più profondo della tragedia del Nasser Hospital.
Oggi non si è solo combattuta una battaglia militare. Si è compiuto un gesto simbolico, devastante, che mette in discussione il rapporto tra guerra, diritto internazionale e libertà di informazione. E mentre i governi esitano, i giornalisti cadono. Letteralmente.
La domanda non è più se l’Europa farà qualcosa. La domanda è: quanto a lungo potrà restare in silenzio senza esserne complice.