Bilancio bloccato, deficit testardo, debito record: Parigi scopre che i mercati non fanno sconti.
(Foto: il Governatore della Banca di Francia, François Villeroy de Galhau)
C’è un rumore nuovo nei corridoi della finanza europea: non è un allarme rosso, ma è quel ticchettio che i mercati fanno partire
quando fiutano incertezza politica e conti pubblici “stanchi”.
La Francia, che per anni ha vissuto nella comfort zone del debito “core”, oggi si ritrova a spiegare (e a spiegarsi) perché lo spread OAT-Bund
si è allargato e perché le agenzie di rating guardano a Parigi con un sopracciglio alzato.
Il cortocircuito: senza bilancio pieno, si governa “in modalità provvisoria”
Il punto di partenza è politico, ma l’arrivo è finanziario: il bilancio non passa, la fiducia degli investitori si assottiglia e il premio al rischio cresce.
Negli ultimi giorni di dicembre il governo francese ha ammesso che non riuscirà a chiudere l’accordo sul bilancio entro fine anno, aprendo la strada
a una soluzione di continuità amministrativa (la proroga del quadro precedente) e a strumenti d’emergenza.
In concreto, a Parigi si parla di una “legge finanziaria speciale”: un provvedimento-ponte che serve a evitare la paralisi dello Stato
e consente di incassare imposte e pagare stipendi e pensioni anche senza una legge di bilancio completa.
È la cura per evitare lo stop, ma non è la cura per il deficit: perché non introduce (o introduce in modo limitato) né tagli strutturali né nuove entrate.
Deficit: la soglia psicologica del 5% e la frase che pesa
Il governatore della Banque de France, François Villeroy de Galhau, lo ha detto in modo diretto in più interviste di dicembre:
oltre il 5% di deficit la Francia “si mette in pericolo”.
E ha aggiunto un avvertimento che in finanza equivale a un cartello stradale: la calma dei mercati può cambiare in fretta.
Il governo, dal canto suo, si è impegnato a riportare il disavanzo dal 5,4% del Pil nel 2025 verso livelli più bassi nel 2026
e a rientrare al 3% entro il 2029, in linea con gli impegni europei. Ma la politica interna è diventata un labirinto:
maggioranze mobili, emendamenti a raffica, concessioni incrociate e una trattativa parlamentare che spesso assomiglia a una partita a scacchi giocata
con il timer rotto.
Debito: record a fine terzo trimestre e una traiettoria che preoccupa
Ai mercati non basta sapere “se” lo Stato pagherà domani; vogliono capire quanto dovrà pagare dopodomani.
E qui entra in scena il dato più pesante: secondo l’Insee, a fine terzo trimestre 2025 la dette pubblica (criteri Maastricht)
è salita a 3.482,2 miliardi, pari al 117,4% del Pil, con un aumento di 65,9 miliardi in tre mesi.
Numeri che, da soli, non raccontano tutto, ma bastano a spiegare perché ogni giorno di incertezza politica diventa un moltiplicatore di nervosismo.
Lo spread OAT-Bund: perché è salito e perché conta più di quanto sembri
Il termometro più immediato è lo spread tra OAT francesi e Bund tedeschi.
Non è solo una cifra per addetti ai lavori: è la traduzione in punti base di una domanda semplice e spietata:
“Quanto mi paghi in più per comprare Francia invece di Germania?”.
Il differenziale a 10 anni, aggiornato al 22 dicembre 2025, si muove attorno a 71-72 punti base.
Non è un livello da “panico”, ma è abbastanza alto da cambiare i calcoli nel medio periodo: perché su uno stock di debito enorme,
anche pochi decimi di punto di rendimento in più diventano miliardi.
Il paradosso europeo: mentre Parigi paga di più, Roma respira
C’è anche un effetto-specchio: nello stesso periodo in cui la Francia vede allargarsi il proprio premio al rischio,
l’Italia ha beneficiato di una percezione migliore (tra disciplina di bilancio, gestione del debito e quadro politico più lineare),
con uno spread in discesa rispetto ai picchi del 2022. In altre parole: il mercato non ha “simpatie”, ha confronti.
E in questo confronto, la Francia oggi non appare più intoccabile.
Rating: non è solo un voto, è un costo (e un segnale)
Il nervo scoperto si chiama rating sovrano. Nel 2025 la Francia ha incassato colpi e avvertimenti:
Fitch ha declassato a A+ a settembre con outlook stabile, S&P ha portato la valutazione
a A+ (outlook stabile) e Moody’s ha mantenuto Aa3 ma ha spostato l’outlook a negativo.
Il messaggio comune, pur con sfumature diverse, è uno: senza una traiettoria credibile di consolidamento fiscale,
il “premio core” rischia di assottigliarsi ancora.
Non è un automatismo che un downgrade faccia esplodere i tassi dall’oggi al domani. Ma è un cambio di narrazione:
se alcuni grandi investitori hanno vincoli interni (o di mandato) legati al rating, ogni gradino perso riduce la platea potenziale
e può aumentare la volatilità nei momenti delicati.
La radice strutturale: spesa alta, welfare potente, demografia che presenta il conto
Dietro la cronaca parlamentare c’è una struttura: la Francia è uno dei Paesi con spesa pubblica più alta tra le economie avanzate.
Secondo l’Ocse, nel 2024 la spesa delle amministrazioni pubbliche è stata circa 57,2% del Pil.
È una scelta di modello: più protezione sociale, più servizi, più trasferimenti.
Ma quando crescita e consenso politico non accompagnano, il modello diventa difficile da finanziare senza tensioni.
A dicembre la Cour des comptes (la Corte dei conti francese) ha lanciato un alert che va oltre il breve termine:
l’invecchiamento della popolazione potrebbe spingere la spesa su livelli “da pandemia” in prospettiva, rendendo ancora più urgente
un pacchetto di riforme e di scelte impopolari ma inevitabili.
Pensioni: il dossier che nessuno vuole toccare (ma che tocca tutti)
Il capitolo pensioni resta il più esplosivo, perché è il punto di collisione tra conti e piazza.
La riforma che puntava a spostare l’età di pensionamento verso i 64 anni è stata sospesa, e ogni tentativo di riaprirla
accende proteste e scioperi. Il risultato è un doppio vincolo: spesa rigida e spazio fiscale ridotto.
Per i mercati, la domanda non è ideologica: è pratica. Se una quota crescente di gettito serve a coprire
pensioni e interessi, resta meno margine per investimenti produttivi
(innovazione, infrastrutture, competitività). Ed è lì che si decide la crescita futura, cioè la variabile
che rende sostenibile (o meno) tutto il resto.
Cosa può cambiare la partita: tre mosse, tutte scomode
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Un bilancio credibile: non un documento “per arrivare a fine mese”, ma una rotta pluriennale con misure verificabili.
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Ricomposizione politica: finché l’Assemblea resta un mosaico senza collante, ogni manovra rischia di essere riscritta a colpi di emendamento.
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Scelte strutturali sul welfare: pensioni, sanità, efficienza della spesa. Non per smontare il modello, ma per renderlo finanziabile.
Il punto: la Francia non è “periferia”, ma il mercato oggi non fa sconti a nessuno
La novità non è che la Francia abbia problemi: li ha da tempo. La novità è che il mercato li sta prezzando con più decisione,
proprio mentre l’incertezza politica rende più difficile intervenire.
E quando lo spread sale e il rating scricchiola, il problema non è la pagina economica del giorno dopo:
è l’effetto cumulato sugli anni successivi.