La nostra biblioteca - Fourteen Days, la narrativa al tempo dei lockdown, in una New York spettrale
- di: Diego Minuti
Quattordici giorni, quelli tra il 31 marzo e il 13 aprile del 2020, quando un nome da laboratorio, Covid-19, cominciò a fare capolino, sempre più di frequente, nel vivere quotidiano di centinaia di milioni di persone.
Ma quel virus, che avrebbe seminato la morte in ogni angolo del mondo che riuscì a raggiungere, se ha ucciso i corpi, non ha soffocato la creatività.
Nasce da questa certezza ''Fourteen Days'' (Harper Collins - 363 pagine, nell'edizione in inglese), un ''romanzo collaborativo'', come viene presentato, a cura di Margaret Atwood e Douglas Preston, per la cui stesura hanno dato il loro contributo 36 autori americani e canadesi. E che autori: oltre ai due curatori, Emma Donoghue, Dave Eggers, John Grisham, Erica Jong, Celeste Ng, RL Stine e Scott Turow, solo per citarne alcuni.
A Douglas Preston è toccato il compito di incastonare i quattordici capitoli, uno per ciascun giorno, in una cornice narrativa. ''Fourteen days''.
La nostra biblioteca - Recensione di Fourteen Days
Il libro è presentato come un ''inno al potere della narrazione e della connessione umana''. L'ambientazione è un condominio a Manhattan, dove i residenti, mentre New York ha assunto un aspetto spettrale, per le limitazioni imposte agli spostamenti personali, si riuniscono sul tetto al crepuscolo; le interazioni socialmente distanziate si sviluppano quando iniziano a raccontare storie. Emerge un senso condiviso di dolore e isolamento e le storie diventano un modo modo per capire cosa si stia perdendo, tenendo le persone lontane dai loro cari che stanno morendo.
La costruzione del romanzo, seppure nella tradizione del racconto corale, ha connotazioni molto intriganti. Così il ruolo della narratrice tocca alla sovrintendente dell'edificio (Yessie, una lesbica rumeno-americana di seconda generazione che vuole solo raggiungere il padre, che ha l'Alzheimer ed è intrappolato in una casa di cura in un'altra parte della città) che, dal suo predecessore, ha ereditato un raccoglitore in cui, tra una nota e l'altra, ciascun inquilino ha un soprannome, una descrizione, solo un cenno che lo ''presenta''.
Quindi c'è la ''Signora con gli Anelli'', che forse avrà gioielli e un bel guardaroba; c'é ''Eurovision'', , un uomo che ''rifiuta di essere quello che non è''.
''Fourteen days'' è un libro che non vuole essere una raccolta di scritti, ma un insieme di stili e di modi diversi di accostarsi ad una condizione - di quasi isolamento - che ciascuno degli inquilini (e per essi gli scrittori che hanno dato il loro apporto al romanzo) vede a modo, portando il lettore a confrontarsi con condizioni inusuali, come l'infermiera ''che sente l'odore della morte" e "un chitarrista blues amputato".
Un lavoro complesso e affatto facile nell'obiettivo di "dare un senso all'insensato e mettere ordine nel disordine", come scrivono gli editori nella loro prefazione. Sono la prova che le storie che ci lasciamo alle spalle sono ciò che ci rende umani.
E' giusto ricordare chi ha scritto per questa sorta di Decamerone della solitudine, rispettando l'ordine alfabetico dei trentasei autori, americani e canadesi: Charlie Jane Anders, Margaret Atwood, Joseph Cassara, Jennine Capó Crucet, Angie Cruz, Pat Cummings, Sylvia Day, Emma Donoghue, Dave Eggers, Diana Gabaldon, Tess Gerritsen, John Grisham, Maria Hinojosa, Mira Jacob, Erica Jong , CJ Lyons, Celeste Ng, Tommy Orange, Mary Pope Osborne, Douglas Preston, Alice Randall, Ishmael Reed, Roxana Robinson, Nelly Rosario, James Shapiro, Hampton Sides, RL Stine, Nafissa Thompson-Spires, Monique Truong, Scott Turow, Luis Alberto Urrea, Rachel Vail, Weike Wang, Caroline Randall Williams, De'Shawn Charles Winslow e Meg Wolitzer!
Quel che rende ''Fourteen Days'' particolare, al di là della scrittura, anche il fatto che esso sia stato commissionato dalla US Authors Guild Foundation, i cui proventi andranno a sostenere la sua attività di beneficenza.