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Fondi e favori nell’Ars: caso Galvagno tra accuse e politica siciliana

- di: Bruno Coletta
 
Fondi e favori nell’Ars: caso Galvagno tra accuse e politica siciliana

Mentre a Palazzo dei Normanni andava in scena la mozione di sfiducia – poi respinta – contro il presidente della Regione Renato Schifani, a pochi passi, nel Palazzo di giustizia di Palermo, si apriva un fronte che rischia di pesare ancora di più sugli equilibri politici siciliani: la Procura ha chiesto il processo per il presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Gaetano Galvagno, esponente di Fratelli d’Italia.

(Foto: Gaetano Galvagno, presidente Ars, durante una premiazione).

L’accusa è pesante: corruzione, peculato, truffa e falso ideologico. Insieme a lui, i magistrati chiedono il rinvio a giudizio per altre cinque persone, tra ex collaboratori, imprenditori e persone legate al mondo delle fondazioni culturali. L’udienza preliminare davanti al Gup è fissata per il 21 gennaio 2026.

Al centro del fascicolo, secondo gli inquirenti, ci sarebbe un sistema di fondi pubblici destinati a eventi e iniziative che, in cambio, avrebbero prodotto incarichi e consulenze per parenti e persone vicine al presidente dell’Ars e alla sua struttura politica.

È bene ricordarlo fin da subito: si tratta di contestazioni ancora tutte da provare in dibattimento. Galvagno e gli altri indagati restano presunti innocenti fino a eventuale sentenza definitiva.

Chi rischia il processo con il presidente dell’Ars

Oltre a Gaetano Galvagno, la richiesta di rinvio a giudizio riguarda:

  • Sabrina De Capitani, ex portavoce del presidente dell’Ars;
  • Caterina (o Marcella) Cannariato, imprenditrice e figura di riferimento in Sicilia per la Fondazione Marisa Bellisario, oltre che vicepresidente della Fondazione Dragotto legata a Tommaso Dragotto, patron di Sicily by Car;
  • Alessandro Alessi, imprenditore;
  • Marianna Amato, dipendente della Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana;
  • Roberto Marino, all’epoca dei fatti autista del presidente dell’Ars.

Su un binario parallelo, ma con un fascicolo separato, procede anche la posizione dell’assessora regionale al Turismo Elvira Amata, per la quale la Procura di Palermo ha già chiesto il processo il 18 novembre 2025: l’udienza davanti al Gup è fissata per il 13 gennaio 2026.

Eventi, fondazioni e consulenze: il cuore dell’inchiesta

Secondo l’ipotesi accusatoria, il presidente dell’Ars, in qualità anche di vertice della Fondazione Federico II, avrebbe orientato finanziamenti pubblici verso una serie di eventi organizzati dalle fondazioni riconducibili a Cannariato, ottenendo in cambio incarichi professionali a favore di familiari e persone del proprio entourage politico.

Gli inquirenti contestano, tra il 2023 e il 2024, una serie di contributi economici a favore delle fondazioni “Tommaso Dragotto” e “Marisa Bellisario”. In particolare vengono richiamati:

  • circa 11 mila euro per un evento legato all’iniziativa “Donna, economia e potere”, corrisposti dalla presidenza dell’Ars;
  • oltre 27 mila euro complessivi per la manifestazione “La Sicilia per le donne”, finanziata sia con fondi della presidenza dell’Assemblea sia della Fondazione Federico II;
  • fino a circa 198 mila euro per le edizioni 2023 e 2024 di “Un magico Natale”, progetto legato alla Fondazione Dragotto.

In cambio, stando all’impostazione dei pm, la promotrice degli eventi, Cannariato, avrebbe riconosciuto una serie di consulenze e posizioni di rilievo a persone vicine al presidente dell’Ars e alla sua portavoce.

Tra gli episodi elencati nell’inchiesta figurano, ad esempio:

  • un incarico di consulenza legale per la cugina del presidente, Martina Galvagno, in una società riconducibile a Cannariato;
  • la nomina di Franco Ricci, compagno di De Capitani, nel consiglio di amministrazione della società di noleggio Sicily by Car;
  • un incarico a Marianna Amato nell’ambito della Fondazione Dragotto.

Per la Procura, questi elementi comporrebbero un rapporto di scambio tra risorse pubbliche e vantaggi privati. Una lettura che le difese contestano e che sarà al centro dell’eventuale dibattimento.

Auto blu, missioni fantasma e il nodo del peculato

Un capitolo separato dell’indagine riguarda l’uso dell’auto di servizio e le missioni istituzionali dichiarate dall’autista.

A Galvagno e a Roberto Marino viene contestato il peculato per l’utilizzo, ritenuto indebito, di un’Audi di servizio: l’auto sarebbe stata impiegata decine di volte per spostamenti di carattere privato. Sempre secondo l’accusa, l’ex autista avrebbe inoltre rendicontato numerose missioni mai effettuate, successivamente vidimate dal presidente dell’Ars, da cui deriverebbero anche le imputazioni di truffa e falso ideologico.

In una delle sue recenti dichiarazioni pubbliche, il presidente dell’Ars ha spiegato di essere particolarmente colpito proprio da questo fronte dell’inchiesta, parlando di dispiacere per l’accusa di peculato legata all’auto blu e assicurando la volontà di chiarire ogni aspetto di quella vicenda.

La versione di Galvagno: “Valuto il giudizio immediato”

Di fronte alla richiesta di processo, Gaetano Galvagno ha mantenuto una linea pubblica di netta difesa. Il presidente dell’Ars ha ribadito di non aver commesso alcun illecito e di confidare di poterlo dimostrare nelle sedi opportune.

In un intervento video, il numero uno dell’Assemblea ha ricordato che una delle ipotesi di corruzione – quella legata a un’iniziativa di Capodanno a Catania – è stata già archiviata, sottolineando di sperare in un esito analogo per il resto delle contestazioni. Ha inoltre dichiarato di stare valutando la possibilità di chiedere il giudizio immediato, strada che consentirebbe di andare direttamente al processo saltando alcuni passaggi, con l’obiettivo dichiarato di abbreviare i tempi e “chiarire tutto il prima possibile”.

Galvagno ha parlato di “serenità” rispetto alla possibilità di dimostrare la correttezza del proprio operato, ammettendo però che forse, in passato, lui e il suo staff non sono stati sufficientemente efficaci nel rappresentare la propria posizione durante la fase delle indagini preliminari.

Il ruolo di Schifani e il clima a Palazzo dei Normanni

La richiesta di processo arriva in un momento politicamente delicato per la Sicilia. Il giorno della notizia, l’Ars era chiamata a votare la mozione di sfiducia contro il presidente della Regione Renato Schifani, iniziativa sostenuta dalle opposizioni ma respinta numericamente con ampio margine.

Il parallelo tra la tenuta del governo regionale di centrodestra e l’aprirsi di un fronte giudiziario sul presidente dell’Assemblea contribuisce a incendiare lo scontro politico. Le opposizioni parlano di “questione morale” nel centrodestra siciliano, mentre i partiti di maggioranza difendono i propri esponenti, richiamandosi al principio di non colpevolezza fino a sentenza.

Una mappa di inchieste che allarga il perimetro

Il caso Galvagno, da solo, basterebbe a scuotere il quadro politico dell’Isola. Ma non è l’unico fascicolo aperto che riguarda figure di primo piano del centrodestra siciliano.

Negli ultimi mesi, diversi nomi noti sono finiti sotto la lente della magistratura:

  • Totò Cuffaro, ex presidente della Regione e leader (ora dimissionario) della “nuova” Democrazia cristiana, coinvolto in un’inchiesta su presunti appalti truccati a Palermo, in cui la Procura ha chiesto misure cautelari pesanti;
  • il deputato regionale Carmelo Pace, area democristiana, indagato nella stessa vicenda con ipotesi di associazione a delinquere, turbativa d’asta e corruzione;
  • l’ex assessore regionale all’Energia Roberto Di Mauro, tirato in ballo in indagini per associazione a delinquere legata a dinamiche di potere e gestione di appalti;
  • l’ex presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè, per il quale viene contestato il peculato in relazione a spese ritenute non giustificate;
  • il deputato Giuseppe Castiglione, sospeso dall’Ars in seguito alle accuse di voto di scambio;
  • il vicepresidente della Regione Luca Sammartino, indagato per corruzione in un’inchiesta su presunti scambi di favori e posti di lavoro;
  • il deputato regionale Salvo Geraci, alle prese con accuse di tentata concussione e abuso d’ufficio.

Questo intreccio di procedimenti penali e indagini preliminari alimenta il racconto di una Sicilia in cui la politica e le procure si incrociano con frequenza crescente, costringendo le forze di governo e opposizione a muoversi su un terreno minato tra garantismo e richiesta di trasparenza.

Garanzie, politica e opinione pubblica

La mole di nomi e di capi di imputazione rischia di produrre un effetto di assuefazione nell’opinione pubblica, con il rischio che il cittadino fatichi a distinguere tra indagini in fase embrionale, richiesta di processo e condanne definitive. Eppure, la differenza è sostanziale: una richiesta di rinvio a giudizio è il passaggio con cui l’accusa ritiene chiuse le indagini e sufficienti le prove per sostenere l’imputazione in aula, ma la valutazione passa ora nelle mani del Gup, e poi – se il processo verrà disposto – dei giudici del dibattimento.

Per Galvagno, la posta in gioco è alta: oltre al profilo penale, è in discussione la credibilità istituzionale del presidente dell’Assemblea, seconda carica dell’ordinamento regionale. Un eventuale processo pubblico, con testimonianze, documenti, email e carte contabili, potrebbe produrre effetti significativi sulla percezione dell’elettorato, indipendentemente dall’esito finale.

Nel frattempo, tra le aule di Palazzo dei Normanni e i corridoi dei partiti, un interrogativo domina su tutti: quanto potrà reggere, sul piano politico, un sistema in cui una parte consistente dei suoi protagonisti è impegnata a difendersi in tribunale mentre governa l’Isola?

Saranno le decisioni del Gup e i successivi gradi di giudizio a stabilire se l’impianto accusatorio della Procura di Palermo reggerà alla prova del processo. Fino ad allora, per tutti gli indagati vale la regola fondamentale di ogni stato di diritto: nessuno è colpevole fino a sentenza definitiva.

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