Il Governo brandisce il golden power: “La legge vale per tutti”. Dopo lo stop a Unicredit su Banco Bpm, la politica detta la rotta. Il destino di Piazza Meda passa dall’incastro con Mps e Mediobanca, mentre i francesi di Crédit Agricole provano a inserirsi.
(Foto: Giuseppe Castagna, Amministratore Delegato di Banco Bpm).
La regia politica è tornata a dettare i tempi della finanza. Il terzo polo bancario non è più un’ipotesi, ma una strada che il Governo vuole percorrere. A Banco Bpm viene mandato un messaggio chiarissimo: la partita non può sfuggire dal perimetro tracciato dal Mef. Giancarlo Giorgetti ha stoppato l’assalto di Unicredit con il cartellino rosso del golden power e ora avverte anche i francesi di Crédit Agricole: se pensano di chiudere da soli con Bpm, il muro normativo si alzerà.
Un progetto cucito a Roma
La traiettoria è segnata: Mps-Mediobanca-Bpm come blocco alternativo ai giganti Intesa Sanpaolo e Unicredit. Dopo l’Ops vincente di Mps su Mediobanca, benedetta da Palazzo Chigi, il tassello mancante è proprio Banco Bpm. Non è un caso che Giorgetti abbia stoppato Unicredit, garantendo così che la partita restasse nelle mani del Governo. Il destino di Bpm non è più solo industriale: è diventato un dossier politico.
Castagna stretto tra Roma e Parigi
L’amministratore delegato Giuseppe Castagna è finito nel cuore della contesa. Da un lato tratta con Crédit Agricole, che ha già il 20% di Banco Bpm e mira a salire fino al 29,9%. Dall’altro riceve segnali inequivocabili dal Governo: l’operazione “italiana” con Mps-Mediobanca resta il tracciato politico preferito. E Giorgetti, arrivando in Senato, ha chiarito: “Io non ho obiezioni politiche, io ho una legge che devo far rispettare come ho fatto. Come l’ho fatta rispettare agli altri la farò rispettare per loro, c’è una legge e vale per tutti”.
L’incastro Bpm-Agricole
I francesi non si arrendono. Lo schema più discusso prevede che Bpm acquisisca il 51% di Crédit Agricole Italia, valutata 6 miliardi, pagando con un mix di azioni Anima, Agos Ducato e una quota di capitale proprio. Contestualmente, il Banco rafforzerebbe il nocciolo duro italiano con l’ingresso di fondazioni e casse previdenziali, così da bilanciare il peso francese. Una formula studiata per restare appena sotto la soglia del 25%, evitando l’obbligo di opa e riducendo il rischio di un veto politico.
Il ritorno della politica nelle banche
Il nodo è che la politica ha ripreso in mano le leve del credito. Come nella Prima Repubblica, quando le banche erano bracci operativi dei partiti, il Governo Meloni sembra voler indirizzare direttamente i destini del settore. Giorgetti brandisce la legge come scudo, ma il messaggio è chiaro: nessuna operazione di sistema può passare senza un via libera politico. Il rischio è che la logica industriale resti subordinata agli equilibri di maggioranza e ai calcoli di convenienza governativa.
Un equilibrio delicato
Il terzo polo promette scala sufficiente a competere con Intesa e Unicredit, ma porta con sé molte incognite: governance, equilibrio tra interessi italiani e stranieri, ricadute sul credito a pmi e famiglie. Se la politica spingerà troppo, potrebbe ripetersi lo schema già visto negli anni ’80 e ’90: banche usate come strumenti di consenso e poi finite in crisi. Ma se la regia sarà equilibrata, il polo Mps-Mediobanca-Bpm potrebbe diventare un vero campione nazionale.