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Federmoda: “Ogni giorno 12 milioni di pacchi extra Ue senza dazi”

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Federmoda: “Ogni giorno 12 milioni di pacchi extra Ue senza dazi”

È un allarme che risuona in tutta la filiera del Made in Italy: ogni giorno circa 12 milioni di pacchi provenienti da Paesi extra Ue entrano in Europa senza pagare dazi, approfittando di una soglia fiscale che consente di importare beni di valore inferiore ai 150 euro senza alcun tributo doganale.

Federmoda: “Ogni giorno 12 milioni di pacchi extra Ue senza dazi”

Un flusso continuo di abiti, scarpe e accessori low cost, che in gran parte proviene dalle piattaforme di ultra fast fashion, il fenomeno globale che sta travolgendo i modelli tradizionali della moda con collezioni lampo, prezzi minimi e impatti ambientali elevati.

A denunciarlo con forza è Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio (nella foto), che parla apertamente di “distorsione del mercato” e “concorrenza sleale” a danno delle imprese italiane. “Ogni giorno – ha spiegato Felloni – circolano nell’Unione europea milioni di pacchi di valore inferiore ai 150 euro, esenti da dazi e spesso da controlli. È un meccanismo che sottrae risorse all’economia nazionale e mette a rischio migliaia di piccole attività, cuore pulsante della distribuzione del Made in Italy”.

Un danno economico e fiscale che cresce ogni giorno
Secondo i dati elaborati da Federmoda, la liberalizzazione delle micro-spedizioni provenienti da Paesi extra Ue – soprattutto Cina e Sud-est asiatico – genera un danno economico per il sistema europeo stimato in oltre 10 miliardi di euro l’anno, tra gettito doganale perso e concorrenza sleale sul prezzo finale.

Ogni pacco sotto i 150 euro, infatti, sfugge ai dazi e all’Iva d’importazione, riducendo il prezzo di vendita anche del 25–30% rispetto ai prodotti europei.
Una distorsione che penalizza le imprese italiane dell’abbigliamento, della pelletteria e del tessile, costrette a competere con brand digitali che sfruttano i costi di produzione più bassi e i vuoti normativi doganali.

“Il fenomeno dell’ultra fast fashion non è solo una questione di mercato, ma anche di equità fiscale e ambientale – sottolinea Felloni –. Da un lato impoverisce le nostre imprese, dall’altro scarica sull’ambiente costi enormi in termini di emissioni e rifiuti tessili”.

Un modello insostenibile: low cost, alto impatto
Il modello dell’ultra fast fashion è fondato sulla rapidità e sulla quantità. Le piattaforme online lanciano centinaia di nuovi articoli al giorno, prodotti in grandi stabilimenti asiatici, venduti a pochi euro e consegnati in tempi record.
Un modello di consumo “usa e getta” che alimenta una filiera ad alto impatto ambientale: secondo le stime dell’European Environment Agency, ogni anno in Europa vengono generate oltre 5,8 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, e il 20% delle emissioni globali di acqua inquinata proviene dal settore moda.

Federmoda avverte che la concorrenza sleale non riguarda solo il prezzo, ma anche la sostenibilità ambientale e sociale. “Le imprese italiane – spiega la federazione – operano nel rispetto di standard ambientali, contrattuali e qualitativi che rappresentano un costo, ma anche un valore. Chi vende in Europa deve essere tenuto a rispettare le stesse regole, indipendentemente da dove produce”.

Le proposte: dazi, contributi ambientali e parità normativa
Per questo Federmoda ha presentato al Tavolo della Moda un piano articolato in tre direttrici, con l’obiettivo di riequilibrare il mercato e tutelare la filiera produttiva nazionale:

- Abolizione dell’esenzione dai dazi per le spedizioni extra-Ue di valore inferiore a 150 euro;
- Introduzione di un contributo ambientale per ogni spedizione proveniente da Paesi extraeuropei sotto quella soglia, destinato a finanziare politiche di riciclo e gestione dei rifiuti tessili;
- Estensione della “responsabilità estesa del produttore” (Epr) anche alle piattaforme e ai brand che, pur producendo fuori dall’Unione, vendono capi di moda in Italia ed Europa.

“Non chiediamo protezionismo – chiarisce Felloni – ma una parità di regole. Chi opera nel mercato europeo deve rispettare gli stessi standard ambientali, fiscali e sociali. È l’unico modo per garantire concorrenza leale e salvaguardare il valore economico e occupazionale del Made in Italy”.

Un settore strategico per l’economia italiana
La moda rappresenta uno dei comparti chiave dell’economia nazionale, con oltre 60 miliardi di euro di export annuo e più di 400mila addetti lungo la filiera, tra produzione, commercio e distribuzione.
Solo nel segmento retail, oltre 30mila imprese – spesso a conduzione familiare – garantiscono presidio nei centri urbani e nei piccoli comuni.

Negli ultimi cinque anni, però, il settore ha perso circa 10mila punti vendita, schiacciati dalla crisi dei consumi interni, dalla crescita dell’e-commerce globale e da politiche fiscali ritenute poco incisive.
Per Federmoda, senza un intervento tempestivo, il rischio è di “un’erosione strutturale del sistema moda italiano”, con effetti a catena su occupazione, gettito fiscale e identità produttiva dei distretti.

Un appello alle istituzioni italiane ed europee
Il Disegno di legge sulla Concorrenza, approvato dal Senato, non ha accolto emendamenti specifici sul tema, ma Federmoda invita il governo e la Commissione europea a non rinviare ulteriormente la questione.

“Serve un quadro normativo nuovo, capace di affrontare la realtà digitale e globale dei mercati – conclude Felloni –. Ogni giorno in cui non si interviene, milioni di pacchi attraversano le nostre dogane senza contribuire né alla crescita economica né alla sostenibilità del sistema. È un lusso che l’Italia e l’Europa non possono più permettersi”.

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