FOTO: Giuseppe Milo - CC BY 2.0
C’è un tempo per suonare e un tempo per raccontare. Fabi, Silvestri, Gazzè – Un passo alla volta è il racconto di un tempo speciale: quello in cui tre artisti hanno scelto di condividere un pezzo importante della loro vita artistica e personale con il pubblico che li accompagna da decenni. Più che un semplice documentario, il film – in uscita come evento speciale con Fandango nelle sale italiane il 7, 8 e 9 aprile – è una dichiarazione d’amore alla musica e al senso profondo del fare arte insieme. Un omaggio sincero a un momento irripetibile: il concerto tenuto al Circo Massimo nell’estate del 2024, unica tappa di un progetto pensato, vissuto e suonato “un passo alla volta”.
Un’amicizia in musica: Fabi, Silvestri, Gazzè raccontano la loro notte magica al Circo Massimo
Max Gazzè, Daniele Silvestri e Niccolò Fabi non sono semplicemente tre colleghi. Sono amici, complici, musicisti che hanno attraversato insieme trent’anni di musica italiana con percorsi distinti ma mai realmente separati. A unirli è un’intesa rara, quasi magica, che questo documentario riesce a restituire con delicatezza e rispetto. “Abbiamo notato in questi anni come le persone intorno a noi sono cresciute e hanno coinvolto le persone intorno a loro”, osserva Gazzè nei primi minuti del film. Parole che fanno da premessa a un racconto in cui il tempo non è solo cronologia, ma materia viva, attraversata da emozioni e visioni condivise.
Il Circo Massimo come simbolo
Il concerto raccontato nel film non è una semplice esibizione. È un rito collettivo, un’esperienza emotiva che ha coinvolto migliaia di persone in una delle cornici più imponenti di Roma. Ma, come afferma Silvestri, “una serata speciale, diversa, irripetibile con un’atmosfera che sembrava familiare pur essendoci così tante persone”. È proprio questa apparente contraddizione a rendere unico l’evento: la capacità di creare intimità in uno spazio immenso, di far sentire ogni spettatore parte di un cerchio, nonostante le distanze. Il film coglie questo miracolo con una regia che non cerca di stupire, ma di custodire.
Dietro le quinte dell’amicizia
Il documentario si muove tra palco e retroscena, alternando brani dal vivo, momenti di confidenza, immagini d’archivio e interviste. C’è una costruzione classica, quasi teatrale, che riflette l’equilibrio tra i tre protagonisti. Nessuno prevale sull’altro, nessuno cerca la luce per sé. “Ognuno di noi occupa una parte che l’altro non desidera occupare”, dice Fabi. “Il quadro che viene fuori è composito e mostra una sfumatura che l’altro non racconta”. È qui che la loro alleanza diventa linguaggio: nella capacità di ascoltarsi e di lasciare spazio, nel rispetto reciproco, nel piacere di condividere senza dover dimostrare.
Un manifesto generazionale
Tra le righe del film emerge anche una riflessione sulla musica di oggi. “Ogni decadentismo crea un nuovo risorgimento”, afferma Gazzè, osservando come la crescita della musica “posticcia” generi una nuova esigenza di autenticità. Non c’è nostalgia né giudizio, ma la consapevolezza che l’arte vera nasce dal vissuto, non dall’algoritmo. Fabi aggiunge: “La tecnologia ha dato a tutti la possibilità di esprimersi, ed è insieme un vantaggio e un limite. Noto però una certa mancanza del sogno, sostituito da una scrittura troppo fotografica, tipica dei social network”. È un pensiero lucido, che non si rifugia nella critica, ma invita a ricercare spazi nuovi di profondità.
L’emozione come architettura
Ciò che rende Un passo alla volta un oggetto filmico speciale è proprio la sua architettura emotiva. Si avverte una costruzione attenta, dove montaggio e regia si mettono al servizio della narrazione, senza sovrastrutture né orpelli. Non si tratta di una cronaca, ma di un atto di condivisione. Un modo per fissare nel tempo una serata irripetibile e offrire allo spettatore non solo le note, ma anche le intenzioni, i silenzi, gli sguardi.
Una scelta controcorrente
In un panorama musicale e cinematografico spesso schiacciato dalla velocità e dalla visibilità immediata, Fabi, Silvestri e Gazzè scelgono la lentezza, la profondità, il racconto autentico. “Se c’è stato qualcosa di un pochino vanaglorioso in quel concerto”, confessa Silvestri, “è stato mostrare a qualcuno che quel modo di pensare la musica, di condividere lo spazio e l’amore per il suonare paga, comunica e vive di più”. Non è solo una frase. È la chiave di lettura dell’intero progetto: credere che l’arte possa ancora essere uno spazio abitato, non solo esibito.
Un’eredità condivisa
Il film-documentario è allora anche un’eredità. Non solo per i fan storici, ma per chiunque voglia comprendere cosa significhi fare musica con dedizione, amore e consapevolezza. È la testimonianza di un’epoca che ha ancora qualcosa da insegnare, e di tre artisti che hanno scelto di camminare insieme – senza strategie, ma “un passo alla volta”.
Perché, alla fine, è questo il messaggio più forte: che il talento può diventare generosità, e che la vera arte non si esaurisce nella performance, ma continua a vivere negli occhi di chi ascolta.