• Intesa Nov 24 8501

“Adolescence”: quando il buio dell’adolescenza entra in salotto e non se ne va

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
“Adolescence”: quando il buio dell’adolescenza entra in salotto e non se ne va

Non ha bisogno di colpi di scena, non cerca l’effetto speciale, eppure "Adolescence" inchioda allo schermo. È la serie televisiva che nessuno riesce a “binge-watchare” senza fermarsi, respirare, riprendersi. E paradossalmente è proprio questo a renderla virale. Dal giorno del suo debutto mondiale su Netflix, lo scorso 14 marzo, è diventata un fenomeno culturale che travalica i confini dell’intrattenimento, con numeri da blockbuster: oltre 96 milioni di visualizzazioni nella prima settimana, prima in classifica in 128 Paesi, con una permanenza media per utente superiore ai 38 minuti per sessione, dato mai raggiunto per un dramma psicologico.

"Adolescence": quando il buio dell’adolescenza entra in salotto e non se ne va

Eppure, "Adolescence" non ha nulla di accomodante. È una serie cruda, essenziale, costruita sul vuoto e sull’inquietudine. La storia è apparentemente semplice: Jamie Miller, un tredicenne del sobborgo londinese di Croydon, viene accusato dell’omicidio brutale della compagna di scuola Amira, trovata morta nel bagno del liceo. Ma la serie non si concentra sull’indagine, né sulla caccia al colpevole. Nessun detective, nessuna suspense classica. A interessare la regista scozzese Tilda McGrath, 32 anni, al suo primo lavoro seriale, è il mondo interno di un adolescente chiuso nel silenzio e nell’incomprensione. L’adolescenza, più che un’età, è trattata come una condizione psicofisica, un ecosistema.

Ogni episodio – sei in tutto, della durata media di 58 minuti – è girato in piano sequenza, senza tagli. È come se la macchina da presa si rifiutasse di distogliere lo sguardo da ciò che accade, persino quando fa male. Nessun montaggio frenetico, nessuna colonna sonora rassicurante, nessuna voce fuori campo: solo il tempo reale, la vita vera, e un’angosciante impossibilità di comunicare. Le telecamere seguono Jamie, o lo scrutano da lontano, mentre il mondo adulto – insegnanti, genitori, psicologi, polizia – cerca di interpretare i suoi silenzi. Nessuno ci riesce. E noi spettatori siamo costretti ad assistere, muti.

“Non abbiamo voluto spiegare niente,” ha dichiarato McGrath in un’intervista alla BBC. “Perché l’adolescenza non si spiega, si attraversa. O si subisce.”

E questo è forse il vero cuore pulsante della serie: la radicale rinuncia a spiegare. A differenza delle narrazioni mainstream, che amano chiudere il cerchio e offrire chiavi di lettura, "Adolescence" resta aperta, ferita, inconclusa. Non si sa se Jamie sia colpevole o innocente. Forse nemmeno lui lo sa. Il finale – che qui non spoileriamo – è una lama sottile, che taglia senza urlare.

I numeri confermano che la scommessa è riuscita. Su Netflix, la serie ha avuto un picco di visualizzazioni tra le 20 e le 23, nella cosiddetta family time zone, con un incremento del +230% nella fascia 35-50 anni rispetto alla media di prodotti giovanili. Questo significa che a guardarla non sono solo adolescenti, ma soprattutto adulti, genitori, educatori, docenti.

In Italia, "Adolescence" ha superato le 7 milioni di visualizzazioni in quattro giorni, mentre in Francia è stata vista dal 31% del pubblico under 25, secondo Médiamétrie. I canali tradizionali hanno reagito: la BBC ha ritrasmesso la serie in seconda serata, raggiungendo uno share del 27,4%, un record per una serie drammatica non crime. In Germania, ZDF ha acquistato i diritti per trasmetterla con una campagna scolastica parallela.

L’impatto mediatico è stato immediato. Il giorno successivo all’uscita, Le Monde ha titolato: “S’il existe un miroir cruel pour notre époque, il est signé McGrath”. In Italia, la Repubblica l’ha definita “un pugno allo stomaco necessario”, mentre The New York Times ha parlato di “an astonishingly unfiltered portrayal of post-pandemic "Adolescence"”. Non è solo una serie. È una provocazione. Un rituale collettivo.

Sui social, "Adolescence" è diventata virale in modo quasi controintuitivo. Nessun meme, nessun balletto TikTok. Al contrario, l’hashtag #"Adolescence"Netflix è stato usato per confessare storie personali: ragazzi che raccontano episodi di bullismo o autolesionismo, genitori che ammettono di non sapere più come parlare ai propri figli, insegnanti che scrivono lettere aperte ai loro alunni. Più di 14 milioni di post in cinque giorni. Il profilo Instagram ufficiale della serie si è trasformato in un archivio di dolore condiviso. Netflix, colta di sorpresa, ha annunciato la creazione di una task force educativa per accompagnare la visione in scuole e consultori, in collaborazione con psicologi e pedagogisti.

Cosa ci dice tutto questo? Forse che il pubblico, soprattutto in Europa, è pronto a contenuti meno gridati e più radicali. Forse che, dopo anni di euforia narrativa, c’è bisogno di realtà. O forse, semplicemente, "Adolescence" ha toccato un nervo scoperto che tutti fingevamo di non sentire: la solitudine degli adolescenti, la distanza abissale che si è creata tra loro e gli adulti, accentuata dalla pandemia, dai social, da un sistema educativo spesso impreparato.

Perché questa serie ci inquieta così tanto? Forse perché non ci offre una soluzione. Perché non ci dice che “andrà tutto bene”. Perché ci mostra il dolore senza filtro, senza trama di redenzione. E perché ci costringe, per una volta, a guardare davvero. A non cambiare canale.

E allora sì, forse "Adolescence" è la serie del momento. Ma non perché sia trendy. Lo è perché ha il coraggio di essere scomoda. Di chiedere troppo. Di non farci dormire la notte.

E in tempi come questi, è forse il gesto più rivoluzionario che si possa fare.

Notizie dello stesso argomento
Trovati 4 record
25/03/2025
Mina compie 85 anni. Lontana da mezzo secolo, ma più presente di chiunque”
Mina compie 85 anni. Lontana da mezzo secolo, ma più presente di chiunque”
25/03/2025
“Adolescence”: quando il buio dell’adolescenza entra in salotto e non se ne va
“Adolescence”: quando il buio dell’adolescenza entra in salotto e non se ne va
25/03/2025
Cisgiordania: rilasciato Hamdan Ballal, regista di No Other Land
Cisgiordania: rilasciato Hamdan Ballal, regista di "No Other Land"
21/03/2025
Muori di Lei – Passione e inganno in un noir psicologico dal respiro internazionale
"Muori di Lei" – Passione e inganno in un noir psicologico dal respiro internazionale
Trovati 4 record
  • Intesa Nov 24 720