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Evasione in forte calo: Italia riduce il divario con l’Europa

- di: Bruno Legni
 
Evasione in forte calo: Italia riduce il divario con l’Europa
Evasione in forte calo: l’Italia riduce il divario con l’Europa
L’analisi dell’Osservatorio Cpi firmata da Alessandro Valfrè mostra un tax gap in calo di un terzo dal 2004 e una distanza dalla media Ue ridotta a soli due punti: un ribaltamento della narrazione sui “100 miliardi immutabili”.

La nuova lettura della Relazione 2025 sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale, proposta dall’Osservatorio Conti Pubblici Italiani in un lavoro firmato da Alessandro Valfrè, junior economist, manda un messaggio che pesa più di qualunque slogan: l’evasione in Italia è in calo strutturale da vent’anni e il divario con l’Unione europea, misurato sul VAT gap, è ormai ai minimi storici. Un dato che, afferma Valfrè, “capovolge l’immagine di un Paese immobile”, restituendo invece l’idea di un percorso lungo ma concreto.

La fotografia dell’Osservatorio si discosta radicalmente dalla narrazione pubblica centrata sui “100 miliardi” fissi e immutabili. Puntualizza il report dell’Osservatorio Cpi che ripetere quel numero senza considerare l’andamento dei prezzi significa ignorare il punto chiave: non conta la cifra nominale, conta la quota evasa rispetto all’imposta potenziale. E quella quota, a differenza del dibattito politico, si sta riducendo.

Inflazione e numeri reali: perché i “100 miliardi” non raccontano la verità

Tra il 2018 e il 2022 i prezzi al consumo sono cresciuti del 12,5%. Dire oggi che il gettito sottratto è lo stesso del 2018 significa ignorare l’effetto dell’inflazione: in realtà il tax gap, rapportato al potenziale, è sceso dal 19,7% al 17%. Un cambiamento che evidenzia l’indagine dell’Osservatorio rimette ordine nel dibattito, spesso ostaggio di cifre di comodo.

In altri termini, il “dato assoluto” è ingannevole: cresce l’economia, cresce l’imposta potenziale, cresce il valore nominale di tutto. Quello che conta davvero, afferma Valfrè, è la proporzione. E la proporzione dell’evaso si sta restringendo.

Venti anni di calo strutturale: l’evasione non è più quella del 2004

L’evasione fiscale è un fenomeno strutturale e va letta con una prospettiva di lungo periodo. Su questa scala, la Relazione 2025 mostra che l’Italia ha ridotto il tax gap di circa un terzo rispetto al 2004, il punto più alto degli ultimi vent’anni. Una tendenza che, punta il dito l’Osservatorio Cpi, non è episodica né frutto di un singolo intervento: è la somma di riforme, digitalizzazione, tracciabilità crescente e strumenti di controllo più mirati.

Nel dettaglio, l’Iva, l’Ires e l’Irap hanno visto il proprio tax gap più che dimezzarsi, mentre l’Irpef dei lavoratori autonomi e delle imprese registra una riduzione più contenuta, nell’ordine del 5% su vent’anni. È proprio questo insieme di dinamiche a definire, secondo Valfrè, “una traiettoria di miglioramento sistemico”.

VAT gap: l’Italia recupera terreno e si avvicina alla media Ue

Il nodo della comparazione internazionale riguarda soprattutto l’Iva, perché il VAT gap è l’unico indicatore armonizzato e calcolato per tutti gli Stati europei. Qui si registra la novità più forte. L’Italia ha visto il proprio divario ridursi di ben 22 punti percentuali dal 2004.

Risultato: la distanza dalla media europea è crollata da circa 16 punti del 2005 a poco più di 2 punti nel 2022. Un avvicinamento che evidenzia l’indagine dell’Osservatorio come “uno dei progressi più significativi registrati nell’Unione”. Nessun altro grande Paese europeo ha recuperato altrettanto terreno nello stesso arco di tempo.

Per l’Osservatorio, il significato politico ed economico di questo dato è chiaro: il racconto di un’Italia irrimediabilmente in ritardo “non è più compatibile con le serie storiche disponibili”.

Dichiarazioni infedeli e mancati versamenti: due mondi da non confondere

Il tax gap non è un blocco unico. Puntualizza il report dell’Osservatorio Cpi che più del 90% dell’evasione deriva da omesse o infedeli dichiarazioni, mentre la quota legata ai mancati versamenti ha cause e dinamiche del tutto diverse. Mescolare le due componenti produce confusione e porta a misure inefficaci.

Separarle, afferma Valfrè, permette di capire dove intervenire con sanzioni, dove con incentivi, dove con assistenza operativa ai contribuenti. L’obiettivo è costruire una strategia differenziata, perché evasione “attiva” e evasione “di liquidità” richiedono strumenti completamente diversi.

Digitalizzazione, servizi e generazioni: le tre chiavi del fisco del futuro

La parte finale dello studio individua tre linee di ricerca che, secondo l’Osservatorio, possono definire il fisco dei prossimi anni.

La prima riguarda la digitalizzazione: fatturazione elettronica, tracciamenti, controlli incrociati automatici. Questi strumenti, evidenzia l’indagine dell’Osservatorio, aumentano sia la trasparenza sia la consapevolezza del contribuente, riducendo la propensione all’evasione.

La seconda riguarda il legame tra servizi pubblici e adempimento fiscale. Se i cittadini vedono che le imposte generano servizi di qualità, cresce la disponibilità a pagare. Un principio – spiega Valfrè – che affianca quello della capacità contributiva e apre un capitolo nuovo nel modo di interpretare la fedeltà fiscale.

Infine, il terzo fronte è quello generazionale. Secondo la Relazione, i contribuenti più giovani mostrano livelli di compliance più bassi sull’Iva. Dato che punta il dito l’Osservatorio verso una necessità: ripensare gli strumenti fiscali per le nuove attività imprenditoriali, creando percorsi più semplici, digitali e chiari fin dall’avvio.

La conclusione dell’Osservatorio Cpi: la strada funziona, ma non va mollata

La sintesi dell’analisi è inequivocabile. Diversamente da quanto spesso si racconta, la prevenzione e il contrasto dell’evasione stanno funzionando. I dati mostrano una tendenza stabile al miglioramento, un recupero significativo del divario europeo e strumenti – soprattutto digitali – ormai capaci di produrre effetti concreti.

Ma questa traiettoria, avverte Valfrè, non è garantita per il futuro. Richiede investimenti continui, politiche coerenti e la capacità di guardare all’evasione come a un fenomeno complesso, che cambia forma e richiede strumenti sempre aggiornati. Tornare alla retorica dei “100 miliardi fissi” significherebbe rimuovere i progressi compiuti e indebolire l’efficacia delle misure in campo.

In altre parole, puntualizza il report dell’Osservatorio Cpi, il dibattito deve aggiornarsi: riconoscere che l’Italia sta recuperando terreno non significa negare che resti molto da fare, ma costruire analisi – e politiche – finalmente aderenti alla realtà dei dati.

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