Europa, Italia, Brics: dove va il mondo del lavoro?

- di: Roberto Pertile
 
Mai come ora i protagonisti del mondo produttivo, i lavoratori delle fabbriche e degli uffici, gli imprenditori, gli operatori nel sociale, i sindacati, le donne e gli uomini di buona volontà, esprimono, a tutti i livelli della società, la domanda di un nuovo patto del lavoro e dell’impresa sociale, da tradursi in un nuovo Statuto.
Questa domanda è finalizzata a condizionare i cambiamenti in atto nel modello di sviluppo europeo. Va ricordato che, in Europa, una politica si-gnificativa a favore dell’export è iniziata nel 1891 in Prussia (Governo Caprivi). Da allora, questo indirizzo politico si è diffuso in tutti i Paesi della attuale Unione Europea, facendone la componente principale del modello economico; si è ritenuto che la crescita delle esportazioni fosse il futuro delle economie nazionali. Questo approccio ha favorito il processo di integrazione e di crescita economica.

Europa, Italia, Brics: dove va il mondo del lavoro?

Anche gli assetti socio-economici italiani sono stati condizionati dall’evoluzione di questo scenario internazionale, a cominciare dal rallentamento della crescita economica in Europa. In specie, l’economia tedesca sta evidenziando la crisi del modello basato sulla forza trainante dell’export. Infatti, il ridimensionamento del mercato cinese e delle aree limitrofe, in particolare, ha causato una contrazione delle quantità prodotte di beni e servizi. In particolare, la minor produzione tedesca ha ricadute negative anche sull’imprese lombarde e venete, ad iniziare dal settore “auto”.

È importante sottolineare che non siamo di fronte ad eventi congiunturali, bensì ad un ridimensionamento della quota “occidentale” del mercato globale. Il gruppo dei paesi che compongono l’associazione “Brics” (i principali: Cina, Russia, Brasile, India, Sud Africa), che rappresentano circa il 37% della produzione mondiale, si propongono di essere un’alternativa all’area Usa-UE, per volumi di import/export e per transazioni finanziarie. Viene, cioè, messa in discussione la leadership del neo-liberismo che, dopo la fine dell’Unione Sovietica, è cresciuto moltissimo secondo la lo-gica globale dell’export. Con la frenata tedesca il modello entra in difficoltà per la probabile ridefinizione della piattaforma industriale europea.

Per effetto della domanda di autonomia economica e finanziaria espressa dai paesi aderenti al “Brics”, è verosimile che si affermi un sistema mon-diale di tipo “multipolare”, che costringerà le economie occidentali a rivedere il loro modello di sviluppo che ha guidato finora il significativo pro-cesso di accumulazione di ricchezza in Europa. Nei prossimi mesi il mercato globale si caratterizzerà per l’accresciuto livello della conflittualità tra gli operatori economici, che favorirà pericolose turbative nei commerci internazionali.
La reazione europea prevedibile all’affermarsi progressivo di un assetto economico multipolare è il raggiungimento di livelli più elevati di produt-tività ottenibili, in questa congiuntura, con maggiori investimenti in tecnologie digitali e in percorsi formativi.

Senza opportuni interventi, la ricerca di una nuova competitività, secondo le regole del neo-liberismo, produrrà una riduzione delle risorse destina-te alle politiche di tutela dei diritti sociali, così che la ripartizione della ricchezza prodotta si modifichi a favore del fattore Capitale a spese del fattore Lavoro. È ragionevole prevedere, di conseguenza, una netta ripresa della conflittualità sociale.
Se agli effetti della nuova divisione multipolare del lavoro si sommano i cambiamenti prodotti dalle nuove tecnologie digitali, è più che giustificato porsi l’interrogativo “dove va il mondo del lavoro?”. L’impresa è capace di dare spazio alle motivazioni di crescita della persona e di maturazione civile del lavoratore e dell’imprenditore?

La risposta politica è che, alla base dei nuovi processi di accumulazione, si dovrebbe partire da un lavoro giusto, che preveda, cioè, l’armonizzazione dei tempi di vita e dei tempi del lavoro: il ridimensionamento dei lavori totalizzanti (saggio uso delle nuove tecnologie); il diritto della donna alla maternità; la formazione permanente e l’aggiornamento professionale; la tutela contrattuale per ogni tipologia di rapporto; l’uguaglianza e la valorizzazione del lavoro femminile; il ridimensionamento dell’ideologia per cui l’impresa è una macchina che serve a fare solo soldi per gli azionisti. Serve un ‘impresa più sensibile ai diritti sociali. Non solo mercato, ma anche comunità.

Infine, ci vuole più sicurezza sul lavoro. Ci sono, invece, centinaia di migliaia di lavoratori irregolari. Specialmente, in edilizia e in agricoltura, la filiera logistica e di distribuzione è dolosamente lunga, crea margini di ricarico non giustificati, molto sproporzionati. L’architettura della filiera crea speculazione sulla pelle degli irregolari.
A questo proposito Papa Francesco (“Civiltà Cattolica”, n° 4179/4180, pag. 211) ci ricorda che, con un’economia che uccide, la democrazia entra in crisi: la dignità del lavoratore è al centro del Patto sociale del Lavoro e dell’Impresa.
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