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Generali sotto pressione: ordini duri da Hegseth, Trump avverte

- di: Bruno Coletta
 
Generali sotto pressione: ordini duri da Hegseth, Trump avverte
Un raduno “straordinario” a Quantico. Il Segretario impone nuove regole: disciplina dura e stop alla “cultura woke”. Trump rilancia: esercito nelle città e carriera a rischio per chi non si allinea. L’esercito americano entra nella sua settimana più inquieta.

(Foto: il Segretario alla Difesa Usa, Pete Hegseth, quando lavorava alla Fox).

La scena, a Quantico, è glaciale: quasi ottocento alti ufficiali convocati d’urgenza. Sul palco Pete Hegseth, il volto del cambiamento voluto dalla Casa Bianca. Poche cortesie, parole scolpite come ordini. “Questo non è un seminario: da oggi si misura il vostro allineamento alla missione”. Nessuno mormora. È l’avvio del nuovo corso: stop ai compromessi, fine del linguaggio neutro, ritorno alla logica del “Dipartimento della Guerra”.

Il segretario alza l’asticella

Hegseth snocciola la sua dottrina con una semplicità che fa rumore: standard fisici unificati, basta esenzioni, fine delle barbe concesse e della permissività su uniformi e simboli, stretta su diversity e programmi considerati “ideologici”. Il messaggio è una scossa: “Se non ci credete, fatevi da parte”. Tradotto: o dentro, o fuori. In controluce, la promessa di rimpasti ai vertici e di una catena di comando accorciata, più verticale.

L’ordine che fa discutere

Il passaggio più allarmante riguarda l’impiego interno delle forze armate. Hegseth e il Presidente parlano di “reazione rapida” nelle metropoli americane: unità pronte a intervenire su disordini, proteste violente, emergenze di sicurezza. È una frizione potenziale con la Posse Comitatus Act, la norma che separa l’uso della forza militare dall’ordine pubblico civile. L’idea di trasformare le città in “campi d’addestramento” per l’esercito fa sobbalzare più di un generale.

Trump entra e lancia avvertimenti

Poi, Donald Trump. Il tono è quello delle grandi occasioni. Sorride, ma formula avvertimenti duri. “Se quello che dico non vi piace, potete uscire”. Pausa, e subito un monito: “Ma poi non piangete per i gradi”. L’elenco delle priorità è netto: più presenza militare in casa, tolleranza zero verso “le élite militari politicizzate”, stretta contro ONG e gruppi ritenuti “ostili”. Rivendica risultati esteri, ma è sul fronte interno che segna il solco: l’America è “in guerra dentro”.

Un tabù che cade

L’ipotesi di rinominare il Pentagono in “Dipartimento della Guerra” – simbolica o reale che sia – rompe un tabù: significa normalizzare il linguaggio del conflitto. Anche se il via libera formale richiede passaggi al Congresso, l’effetto comunicativo è già compiuto. È l’architrave del nuovo racconto: non più difendersi, ma colpire per primi.

Disciplina e carriera: la stretta

Sul piano organizzativo, Hegseth parla di epurazioni mirate: ufficiali giudicati “fuori linea” sarebbero già usciti dai ranghi. Fitness test con benchmark maschili per tutti, taglio delle eccezioni, revisione delle procedure disciplinari. Un’idea di esercito duro, omogeneo, verticale. L’obiettivo dichiarato è “ripulire” la catena di comando. L’effetto collaterale è la paura: che cosa accade a chi solleva dubbi operativi?

Il confine legale

Giuristi e militari in pensione parlano di rischio politicizzazione. Le forze armate sono per tradizione neutrali. Stabilire “forze rapide” per l’ordine pubblico e usare lessico di guerra interna crea una faglia tra dottrina e cultura democratica. Gli applausi non arrivano: non per dissenso plateale, ma per costume istituzionale. Qui, però, il non-applauso suona come allarme.

Tra minacce esterne e ossessioni interne

Nelle stesse ore si parla di Medio Oriente, Ucraina, Cina. Eppure la retorica più tagliente resta domestica: il nemico “dentro”. È una strategia che sposta uomini, fondi, priorità. E che logora il patto tra la Repubblica e i suoi soldati: la fedeltà alla Costituzione, non a un uomo.

La notte dei comandi

A fine riunione molti generali escono a capo chino. Settimane di ordini esecutivi e circolari interne li attendono. In controluce, l’idea che il nuovo Pentagono voglia testare i confini: fin dove si può spingere l’esercito dentro la nazione? E chi sarà il primo a dire “no”? 

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