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Onu semivuota, ma Netanyahu sfida tutti: “Finiremo il lavoro”

- di: Bruno Legni
 
Onu semivuota, ma Netanyahu sfida tutti: “Finiremo il lavoro”
Onu semivuota, Netanyahu sfida tutti: «Finiremo il lavoro»
Aula sfoltita da walkout e proteste, applausi a tratti: il premier israeliano rilancia la linea dura su Gaza, parla agli ostaggi, attacca il riconoscimento della Palestina e avverte sull’Iran.

(Foto: Netanyahu oggi durante il suo discorso all’Onu).

All’Assemblea generale delle Nazioni Unite Benjamin Netanyahu oggi venerdì 26 settembre ha preso la parola davanti a una sala semivuota, segnata da uscite di delegazioni in segno di protesta e da applausi intermittenti. Il clima, sin dalle prime battute, è apparso polarizzato: platea ridotta, brusii, richiami all’ordine e un intervento pensato per lasciare il segno dentro e fuori l’aula.

Un’aula sotto tensione

La cornice conta: tra posti vuoti e walkout, l’intervento ha assunto i tratti di un monologo combattivo. Netanyahu ha alternato passaggi tecnici a momenti teatrali, enfatizzando parole e simboli per incidere sull’opinione pubblica internazionale e sul fronte interno.

La linea su Gaza

Il baricentro politico è inequivoco: «Israel must finish the job», ha scandito il premier, descrivendo la necessità di proseguire l’offensiva finché i «resti finali di Hamas» non saranno neutralizzati. Le pressioni esterne, ha insistito, non cambieranno la traiettoria del governo.

Il messaggio agli ostaggi

Il momento più carico di pathos è stato l’appello rivolto agli ostaggi trattenuti a Gaza. Con un collegamento sonoro verso la Striscia, Netanyahu ha detto: «Non vi abbiamo dimenticato, neanche per un secondo». Ha promesso che ogni canale utile resterà aperto per riportarli a casa, chiedendo a chi li detiene di liberarli senza condizioni.

L’avvertimento a Hamas

La sezione più dura è stata un messaggio diretto ai miliziani: «Liberate gli ostaggi e deponete le armi. Se lo farete vivrete, se non lo farete Israele vi darà la caccia». Un passaggio che condensa la dottrina della pressione militare affiancata alla comunicazione pubblica.

L’attacco ai riconoscimenti

Netanyahu ha puntato il dito contro i governi che hanno scelto di riconoscere lo Stato palestinese, definendo quella mossa un errore strategico e un segnale distorto. In un passaggio destinato a far discutere, ha affermato: «Sapete quale messaggio è stato mandato ai palestinesi? Che uccidere gli ebrei paga».

L’Iran e la sicurezza regionale

Capitolo Iran: il premier ha riproposto l’urgenza di mantenere deterrenza e vigilanza sul programma nucleare e sulla rete di alleanze regionali, presentando Teheran come il fulcro di una minaccia che travalica i confini mediorientali. Ha evocato mappe e riferimenti operativi per sostenere la tesi di una regia destabilizzante.

Gli aiuti e l’accusa a Hamas

Sul fronte umanitario, Netanyahu ha respinto l’idea di una volontà deliberata di affamare Gaza, sostenendo che, quando gli aiuti scarseggiano, è perché vengono sottratti dai miliziani. Una narrativa che si intreccia con la richiesta di pressione internazionale sui gruppi armati perché non interferiscano con i convogli.

I segni e la memoria

Oltre alle parole, il premier ha curato i simboli: l’esibizione di un QR code sul bavero come invito a “vedere perché combattiamo” e i richiami al 7 ottobre hanno inteso radicare l’intervento nella memoria recente, legando l’agenda politica a un immaginario emotivo riconoscibile.

La piazza fuori dal Palazzo di Vetro

Mentre in aula rimbalzavano applausi e fischi, all’esterno del quartier generale Onu si sono radunate centinaia di persone: le famiglie degli ostaggi hanno guidato sit-in e cortei, chiedendo un’accelerazione negoziale e il rientro immediato dei propri cari. Altri gruppi hanno contestato la prosecuzione della guerra, tra striscioni e slogan.

Gli scenari che si aprono

Diplomazia: c’è attesa per le risposte dei Paesi chiamati in causa e per eventuali iniziative in seno all’Onu. Escalation: toni intransigenti potrebbero irrigidire la controparte armata e i mediatori regionali. Interno: in Israele resta elevata la pressione dell’opinione pubblica, con il dossier ostaggi al centro del dibattito politico. 

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