Scatta il conto alla rovescia: i democratici pubblicano nuove immagini “senza contesto”, la Casa Bianca respinge l’idea di un insabbiamento e il Dipartimento di Giustizia corre tra rilasci, tagli e possibili imbarazzi.
C’è una parola che in queste ore rimbalza tra Congresso, Casa Bianca e cronache americane: deadline.
Il motivo è una legge federale approvata con sostegno bipartisan che obbliga il Dipartimento di Giustizia a rendere pubblici,
entro 30 giorni dall’entrata in vigore, i materiali non classificati legati a Jeffrey Epstein e a Ghislaine Maxwell,
in formato ricercabile e scaricabile.
Proprio alla vigilia della scadenza, i democratici della Commissione di Vigilanza della Camera hanno alzato il volume:
una nuova “infornata” di immagini attribuite all’archivio della proprietà di Epstein, accompagnata da accuse politiche
e da una domanda che pesa come un macigno: cosa uscirà davvero dai cassetti del DOJ?
La mossa dei democratici: foto “grezze” e nomi pesanti
Il pacchetto diffuso dai democratici viene presentato come materiale ricevuto e pubblicato così com’è,
con oscuramenti per proteggere identità e dati sensibili. Nelle immagini compaiono documenti (tra cui passaporti e carte d’identità
parzialmente coperti), fotografie in contesti privati e scatti che ritraggono Epstein con figure molto note
— tra i nomi che hanno fatto più rumore: Bill Gates e Noam Chomsky.
Il punto, sottolineano diverse testate americane, è che la presenza in una foto non equivale a una prova di reato,
ma il valore politico è evidente: riportare Epstein al centro della scena e mettere pressione sull’amministrazione
nel momento più delicato.
Tra i contenuti che più colpiscono l’opinione pubblica c’è anche un’immagine con una citazione di Lolita di Nabokov
scritta sul corpo di una donna: un dettaglio simbolicamente tossico, perché richiama un immaginario di abuso
che da anni accompagna il “caso Epstein”.
Reuters e AP descrivono il materiale come disturbante e spesso privo di contesto temporale,
con migliaia di altre immagini ancora da analizzare.
Lo screenshot degli sms: “ragazze” e tariffa, ma contesto incerto
Il cuore più incendiario del rilascio è lo screenshot di una conversazione via messaggi che parla di “mandare ragazze”
e include una cifra: 1.000 dollari a persona. Il testo allega anche una descrizione con età indicata come 18 anni
e riferimenti geografici (compare la parola Russia e un cenno all’area Schengen).
Qui la cautela è obbligatoria: nelle ricostruzioni disponibili pubblicamente non è chiaro chi stia scrivendo,
a chi, né in quale data. Ma sul piano mediatico l’effetto è quello di una miccia:
non serve una firma leggibile per trasformare un’immagine del genere in un’arma politica.
La legge che cambia le regole: cosa impone davvero
L’Epstein Files Transparency Act (legge pubblica 119-38) stabilisce che l’Attorney General debba pubblicare,
entro 30 giorni dall’entrata in vigore, tutti i materiali non classificati in possesso del Dipartimento di Giustizia
(inclusi FBI e uffici dei procuratori federali) su:
indagini e procedimenti legati a Epstein e Maxwell, flight logs e registri di viaggio,
riferimenti a persone citate in connessione con le attività criminali, accordi di immunità o patteggiamenti,
comunicazioni interne sulle scelte investigative e perfino documentazione su detenzione e morte di Epstein.
C’è un passaggio cruciale, pensato per evitare “tagli politici”: la legge dice che non si può trattenere,
ritardare o oscurare materiale per motivi di imbarazzo, danno reputazionale o “sensibilità politica”.
Ma nello stesso impianto sono previste eccezioni reali: è consentito oscurare porzioni di documenti per proteggere
vittime e dati personali, evitare danni a minori, tutelare la sicurezza nazionale
e gestire informazioni che potrebbero interferire con indagini in corso.
In altre parole: trasparenza sì, ma con una forbice in mano.
Redazioni e sospetti: la battaglia si sposta sul “quanto” e sul “come”
Proprio qui nasce lo scontro. I democratici parlano apertamente di rischio “copertura” e chiedono che la pubblicazione
sia ampia, leggibile e verificabile. Dall’altra parte, l’amministrazione deve evitare due incidenti opposti:
oscurare troppo (alimentando teorie e accuse) oppure oscurare poco (esponendo vittime e dati sensibili).
Il risultato è un equilibrio instabile, con il DOJ descritto da più cronache come sotto pressione nella fase di revisione
e redazione dei documenti.
Il fattore Wiles: “Sì, era nel giro”, ma “non fa cose terribili”
A complicare il quadro è arrivata un’intervista che ha fatto discutere: la chief of staff Susie (Susie) Wiles,
in un profilo pubblicato da Vanity Fair e ripreso da AP e People, riconosce che il nome di Trump compare nei file
e descrive il rapporto passato tra i due come quello di “giovani playboy”.
La formula è chirurgica: ammettere la vicinanza sociale di un’epoca, ma negare che nei documenti ci siano prove di
comportamenti illegali del presidente. Nello stesso contesto, Wiles critica la gestione del dossier da parte della
Attorney General Pam Bondi, segnalando frizioni interne.
Le dimissioni di Bongino e il nervo scoperto dell’FBI
Nel pieno della tempesta, un altro tassello è diventato notizia: le dimissioni annunciate (o imminenti, a seconda delle fonti)
del vice direttore dell’FBI Dan Bongino.
Alcune ricostruzioni collegano l’uscita alle tensioni sulla gestione del caso e alla pressione politica attorno
ai documenti da rilasciare. Anche qui, più che il singolo gesto, conta il messaggio:
il “caso Epstein” non è solo un fantasma mediatico, ma un dossier che stressa la catena di comando.
Un dettaglio spesso ignorato: i file non sono “la lista”, ma un ecosistema
Nella discussione pubblica, il rischio è trasformare tutto in una caccia al nome celebre.
In realtà la legge fotografa un perimetro molto più vasto: include registri di viaggio, accordi legali,
comunicazioni interne e materiali su scelte investigative. Sono pezzi che possono servire a ricostruire:
chi sapeva cosa, quando, e quali leve istituzionali hanno pesato negli anni
(dai non-prosecution agreements alle decisioni di non procedere).
È anche il motivo per cui, accanto allo scontro politico, resta centrale il tema delle vittime:
trasparenza non può significare spettacolarizzazione.
Cosa aspettarsi nelle prossime ore
Se la pubblicazione rispetterà la lettera della legge, il pubblico dovrebbe vedere materiale in un formato consultabile,
con tracciabilità e download. Ma la vera partita sarà sulle omissioni:
quanto verrà coperto per motivi legittimi e quanto, invece, verrà percepito come “autodifesa politica”.
I democratici hanno già fatto capire che continueranno a rilasciare materiale in loro possesso se giudicheranno
insufficiente la mossa del DOJ. E a quel punto, la cronaca rischia di diventare una serie a puntate:
ogni tranche non come prova definitiva, ma come benzina per la polarizzazione.