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Emily in Paris o in Rome? Questione di feeling, e di Stato

- di: Barbara Leone
 
C’era una volta un mondo in cui i leader politici si preoccupavano di questioni di primaria importanza: guerre, crisi economiche, disastri ambientali. Oggi, quel mondo sembra lontano anni luce, sostituito da uno scenario dove presidenti e sindaci discutono di… Emily in Paris. Sì, avete capito bene, quella della serie Netflix interpretata dalla bellissima Lily Collins. E no: non è una fake news. E non stiamo neanche parlando di battute da bar tra amici, ma di dichiarazioni ufficiali, rilasciate con un tono serioso degno di un summit dell’ONU. Signore e signori: benvenuti nel teatro dell’assurdo di beckettiana memoria. Protagonisti: Emmanuel Macron e Roberto Gualtieri. Tema: dove andrà l’iconica Emily nella prossima stagione? Tutto è cominciato con il presidente francese Macron, che dalle colonne della celebre e patinatissima rivista Variety ha lanciato la sfida con un’energia che ci si aspetterebbe per, diciamo, negoziare un cessate il fuoco, non certo per difendere una fashionista immaginaria. E invece eccolo lì, dichiarare con una solennità quasi comica: “Lotteremo strenuamente. E le chiederemo di rimanere a Parigi! Emily in Paris a Roma non ha senso”.

Emily in Paris o in Rome? Questione di feeling, e di Stato

Che cavaliere senza macchia! Dimenticate le riforme del lavoro, il cambiamento climatico o quella piccola faccenda di guerre in corso. La vera priorità è che Emily resti tra le baguette, le torri Eiffel e i berrettini di lana. D’altronde, per Macron, Parigi è la patria delle cose importanti: l’alta moda, il romanticismo, il croissant al burro. Ma, signor presidente, davvero Emily, una ragazza americana che si barcamena tra selfie, storie su Instagram e qualche flirt mal assortito, è l’ambasciatrice culturale che merita una tale difesa?

Ma attenzione, perché Macron non è rimasto solo in questa tragicomica battaglia. Roberto Gualtieri, sindaco (fantasma) di Roma, non poteva certo stare a guardare mentre la Capitale veniva sminuita. Dalla sua torre d’avorio, pardon, dall’ufficio del Campidoglio, ha così sfoderato la sua risposta come un prode gladiatore virtuale: “Caro Emmanuel Macron, stai tranquillo: Emily a Roma sta benissimo. E poi al cuor non si comanda: facciamo scegliere lei”. Che meraviglia di risposta, roba da far arrossire qualsiasi poeta romantico. Shakespeare chi? Romeo e Giulietta sono ormai roba vecchia: ora è Emily a Roma il vero dramma sentimentale che ci terrà incollati allo schermo. E come ogni bravo stratega, Gualtieri ha giocato la carta dell’amicizia internazionale, rivelando tronfio tronfio d’aver finanche chiamato la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, una sua vecchia conoscenza: “un’amica”, ha detto il cicciobello de’ Noantri. Cosa si saranno detti i due, resta un mistero. Magari tra una risata e l’altra, brindando con un calice di bianco dei Castelli lui, ed uno di champagne lei.

In mezzo, problemucci da niente: l’Europa alle prese con due conflitti alle sue porte, crisi economiche da far tremare anche i palazzi più solidi, la grande piaga del cambiamento climatico e una società sempre di più allo sbando. In tutto questo baillame, candidamente, due leader mettono in scena una  lotta mediatica degna di una lite tra adolescenti. Non ci sorprenderemmo se il prossimo passo fosse una challenge su TikTok: #EmilyInRomeVsParis. E mentre i nostri eroi si danno battaglia per un set cinematografico, le vere questioni, quelle che davvero richiedono una leadership forte e decisioni coraggiose, restano sullo sfondo. Come le difficoltà economiche che tanto Francia quanto Italia stanno affrontando, con tassi di inflazione che mordono e sistemi sanitari che faticano. Anche se, a dire il vero, i cugini d’Oltralpe stanno messi un po’ peggio, perlomeno a livello economico. Col premier Barnier, che appena pochi giorni fa ha presentato il conto ai francesi: la manovra 2025, letteralmente lacrime e sangue, pure per i più ricchi che una tantum si dovranno accollare la tanto osteggiata, da noi, patrimoniale. E dall’altra parte vogliamo parlare dei problemi di Roma? Un cantiere a cielo aperto, stritolato da traffico, monnezza e chi più ne ha più ne metta con la spada di Damocle che incombe del Giubileo? Ma che vuoi che sia! Meglio discutere di dove Emily debba sorseggiare il suo prossimo caffè.

Però, in fin dei conti, questa penosa saga del nulla ci offre un piccolo sollievo dalle tragiche notizie di tutti i giorni. Invece di leggere di bombe, disastri naturali o crisi sociali, possiamo goderci questa versione contemporanea di una commedia di Molière, dove al posto dei nobili intriganti ci sono politici che si fanno guerra con battute da talk show di quart’ordine. Ma forse, sotto la patina del sarcasmo e del sorriso, dovremmo fermarci a riflettere. Perché se due politici (o politicanti?) di cotanto spessore riescono a trovare il tempo e l’energia per battibeccare su un prodotto di intrattenimento, che tipo di priorità stanno (e stiamo) dando alle nostre vite pubbliche? Dov’è finito il buon senso, la capacità di discernere ciò che conta da ciò che è, in fondo, solo un gioco mediatico? C’è da scommettere che Netflix sarà l’unica vera vincitrice di questa buffonata. Grazie alla querelle tra Macron e Gualtieri, la quarta stagione di Emily in Paris ha già una copertura mediatica che neanche i migliori esperti di marketing avrebbero saputo orchestrare. E se alla fine Emily sceglierà Parigi o Roma, poco importa. Quel che conta è che siamo qui, a parlarne, come se le sorti del mondo dipendessero davvero da una giovane influencer con cappelli oversize e gonnelline a pieghe. Chissà, forse il vero messaggio di questa storia non è tanto chi avrà la meglio tra Macron e Gualtieri, ma che viviamo in un’epoca in cui anche le questioni più frivole possono diventare centrali nel dibattito pubblico, se solo ci mettiamo abbastanza impegno. Emily in Paris sarà pure una serie leggera, ma sta dimostrando di saper scatenare una battaglia degna dei tempi che viviamo: piena di apparenza, vuota di sostanza.

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