Elezioni 2022 - Cari candidati, abbiate a cuore solo il futuro dell'Italia
- di: Germana Loizzi, editore
Abbiamo visto di tutto; abbiamo assistito a tutto; abbiamo subito di tutto: da risse verbali, in confronti televisivi o con scambi di dichiarazioni al veleno; agli urli; agli insulti; alle urticanti allusioni; alle minacce nel senso pieno della parola.
Cose che non sono degne di un Paese normale. Certamente non degne del ''nostro'' Paese.
Eppure, questa campagna elettorale, cominciata nel momento in cui un partito della coalizione di governo ha deciso di defilarsi forse non capendo la gravità della contingenza negativa che da tempo attraversiamo, doveva essere diversa. Doveva testimoniare come la classe politica fosse attenta alle esigenze della gente, cogliendone le difficoltà, il dolore, anche la disperazione. Ma anche attenta a capire che l'Italia ha dentro di sé cose che altri non hanno. Come la capacità di rigenerarsi sempre, ma mai perdendo la sua sensibilità, il gusto per il bello, la sua profonda umanità, il suo senso della solidarietà.
È arrivato il weekend delle elezioni politiche 2022
Ed invece gli strateghi della campagna elettorale, di tutti i versanti, nessuno escluso, hanno deciso che per trovare dei voti occorreva urlare, occorreva sfidare, non solo in senso figurato, un avversario fatto diventare un nemico.
Sono questi la lezione e l'esempio che abbiamo voluto dare ai nostri ragazzi?
Anche a quelli che, per la prima volta, si trovano caricati dalla responsabilità del voto e che forse si chiedono se vale la pena di andare ad infilare la scheda nell'urna, assediati dal sospetto che tanto non cambierà nulla, quale che sia il vincitore?
Lo dico per esperienza diretta, come madre di un adolescente nei cui occhi ho visto lo smarrimento di chi cerca di capire le tesi dell'uno e quelle dell'altro e invece si ritrova a fare i conti con linguaggi della comunicazione che sembrano inseguire l'annientamento e non invece la ricerca di un terreno comune di confronto.
Si potrebbe dire che non lo si fa nemmeno negli altri Paesi occidentali, da quelli di democrazia ancora giovane e quindi non consolidata ad altri che, da secoli, vivono sistemi politici in cui l'alternanza al potere è una cosa normale, sapendo che il buon governo vantato andrà poi al giudizio della gente.
Ma da noi la dialettica diventa rissa, e non credo che questo sia legato al nostro essere mediterranei e quindi, nel pensiero comune, passionali.
Abbiamo cercato nei contenuti di questa campagna elettorale - la più breve da molto tempo a questa parte - la voglia di costruire e, confessiamo con dolore, non sempre l'abbiamo trovata.
Per questo credo sia il momento di lanciare un appello, da donna, da madre, da imprenditrice, da cittadina, chiedendo ai candidati di oggi e parlamentari domani di non rimirarsi davanti allo specchio della soddisfazione personale, ma di rivolgere lo sguardo verso i più deboli, verso chi soffre, verso coloro che, dicono oggi i politici - tradizionalmente di memoria corta come l'effetto delle loro promesse -, non si devono lasciare indietro.
Sono le categorie più fragili (per fascia d'età e reddito), di cui purtroppo fanno parte i nostri ragazzi e adolescenti, che guardano al futuro con paura piuttosto che, come sarebbe naturale, con attesa gravida di speranze. E penso soprattutto a quei giovani italiani che, senza avere alle spalle una famiglia in grado di aiutarli economicamente, si rivolgono verso forse di arricchimento personale che sono l'anticamera dell'inferno.
Sono giovani che non sempre hanno voce. Per loro, per noi tutti: chi domani siederà davanti al pannello di comando del potere sappia che il Paese ha fretta e non può aspettare che la crisi ci passi addosso, schiacciando con noi anche le nostre speranze.