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Di Tanno e Hamaui: populismo fiscale e banche sotto attacco

- di: Jole Rosati
 
Di Tanno e Hamaui: populismo fiscale e banche sotto attacco
Populismo fiscale e banche sotto attacco

Su lavoce.info, Tommaso Di Tanno e Rony Hamaui (foto) smontano la manovra del governo: tasse travestite da “contributi”, effetti distorsivi e un pericoloso indebolimento del sistema bancario italiano.

È un intervento rigoroso e senza sconti quello firmato da Tommaso Di Tanno, giurista tributario, e Rony Hamaui, professore all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e presidente di Intesa Sanpaolo ForValue, apparso sul network economico lavoce.info il 24 ottobre 2025. Nell’analisi, affermano Di Tanno e Hamaui, dietro le nuove imposte sulle banche si nasconde un chiaro populismo fiscale che sacrifica stabilità e coerenza pur di fare cassa.

Per il terzo anno consecutivo, rilevano i due autori, il governo colpisce il settore: dopo la tassa sugli “extraprofitti” del 2023 (di fatto sterilizzata dagli accantonamenti patrimoniali) e il congelamento delle Dta nel 2024, si arriva oggi a un pacchetto di cinque misure che, puntualizza l’articolo apparso su lavoce.info, nulla hanno a che fare con veri “profitti extra” e molto con un prelievo straordinario a gettito garantito.

Cinque misure, un solo obiettivo: far cassa

Nel 2026 il conto ammonterà a 3,6 miliardi di nuove tasse e 1,2 miliardi di anticipi di liquidità. Ma il problema più grave, evidenziano i due autori, sono le distorsioni che queste norme generano: minori accantonamenti, maggiori costi della raccolta e un indebolimento strutturale della patrimonializzazione.

Affrancamento delle riserve. L’articolo 20 introduce un affrancamento “volontario” delle riserve 2023 (6,2 miliardi) che è volontario solo sulla carta: dividendi tassati al 27,5% se distribuiti nel 2026 o al 33% nel 2027, contro il 40% ordinario in seguito. Di fatto, affermano Di Tanno e Hamaui, gli istituti vengono spinti a distribuire subito riserve, riducendo i cuscinetti patrimoniali “solo per raccogliere gettito”.

Aumento dell’Irap. L’articolo 21 alza l’aliquota al 6,65% per banche e intermediari e al 7,90% per le assicurazioni nel triennio 2026–2028. Eppure il comparto sconta già un’Ires maggiorata di 3,5 punti e varie imposte di bollo e contributi settoriali. “È una scelta ideologica, non economica”, puntualizza l’articolo apparso su lavoce.info.

Riduzione della deducibilità degli interessi passivi. Con l’articolo 33 la deducibilità scende al 96% nel 2026 (poi 97%, 98%, 99%). Per le banche, gli interessi passivi sono il costo della materia prima: la norma, evidenziano i due autori, può spingere a tagliare i tassi riconosciuti ai depositanti, alterando la concorrenza sul risparmio.

Anticipo di liquidità. L’articolo 22 abbassa al 45% la compensazione delle perdite ed eccedenze Ace nel 2026 (per poi risalire al 54%): un ulteriore tiraggio di cassa stimato in 1,2 miliardi, privo di remunerazione.

Deducibilità dilazionata delle svalutazioni. L’articolo 19 spalma in cinque anni la deduzione delle svalutazioni su crediti non deteriorati (primo e secondo stadio), che oggi sono deducibili nell’anno: anche qui, affermano Di Tanno e Hamaui, si incentiva minore prudenza e si assottigliano gli accantonamenti.

Una tassazione incoerente con le stesse regole

Il quadro, affermano Di Tanno e Hamaui, cozza con la legge delega che all’articolo 8 prevede la progressiva abrogazione dell’Irap. Invece di alleggerire, si aggrava; invece di stabilità, si moltiplica l’incertezza normativa. È la cifra del “populismo fiscale”: misure che piacciono nell’immediato, ma indeboliscono il sistema nel medio periodo.

Gli effetti sull’economia reale

Nel breve periodo, i maggiori oneri ricadranno su investitori italiani e stranieri; nel lungo, prevedono gli autori, le banche taglieranno gli accantonamenti, abbasseranno i tassi sui depositi e ridurranno gli impieghi alle imprese italiane per ricostituire capitale. Colpire il credito significa rallentare investimenti e crescita, scoraggiare capitali esteri e comprimere la competitività.

“Non si è mai visto un governo che incentivi la distribuzione accelerata di dividendi e la riduzione delle riserve pur di fare gettito”, affermano Di Tanno e Hamaui. Il rischio è un sistema bancario più fragile proprio quando stava tornando solido e competitivo a livello internazionale.

Il paradosso del “todos caballeros”

L’articolo apparso su lavoce.info allarga lo sguardo: lo stesso impulso che porta a rottamare cartelle, rinviare l’età pensionabile nonostante l’aspettativa di vita e a svuotare l’Isee alimenta l’idea che si possa “dare un po’ a tutti” senza costi. È qui che la chiosa amara trova posto nella citazione di Carlo III di Spagna: “Todos caballeros”. Un motto che rende l’idea di un Paese che distribuisce titoli, ma erode le fondamenta della propria stabilità economica.

Una chiamata alla responsabilità

La conclusione è netta: “La forza di un Paese non si misura dai prelievi straordinari, ma dalla capacità di garantire regole stabili, prevedibili e coerenti”, affermano Di Tanno e Hamaui. La sintesi, puntualizza l’articolo apparso su lavoce.info, è che un Paese che rende fragili le proprie banche non danneggia loro, ma se stesso. 

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