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Pil Uk quasi fermo: crescita 0,1% e ripartenza rimandata

- di: Marta Giannoni
 
Pil Uk quasi fermo: crescita 0,1% e ripartenza rimandata
Pil Uk quasi fermo: crescita 0,1% e ripartenza rimandata
Servizi e costruzioni tengono a fatica, l’industria arretra e il motore britannico gira al minimo: il Pil del Regno Unito cresce solo dello 0,1% nel terzo trimestre 2025, molto meno di quanto servirebbe per parlare di vera ripartenza.

(Foto: Kein Stramer, primo ministro britannico).

Il Pil del Regno Unito nel terzo trimestre 2025 avanza appena dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti, dopo il +0,3% del secondo trimestre e il +0,7% dell’inizio d’anno. Su base annua, l’economia cresce dell’1,3%, ma il dato pro capite resta fermo: un segnale chiaro che la ripresa esiste solo sui numeri aggregati, mentre il benessere medio dei cittadini non migliora.

Dietro questa cifra apparentemente innocua si nasconde un quadro più complesso: i servizi continuano a fare da pilastro, le costruzioni resistono, ma la manifattura arretra e viene colpita da uno shock improvviso nel settore auto, che trascina in giù la produzione industriale proprio a ridosso dell’autunno.

Crescita ai minimi: cosa dicono i numeri

L’andamento del 2025 per l’economia britannica assomiglia a una curva in discesa: +0,7% nel primo trimestre, +0,3% nel secondo, ora +0,1% nel terzo. La velocità di crociera conquistata all’inizio dell’anno si sta progressivamente spegnendo.

Il quadro di fondo è quello di un’economia che cresce ancora, ma al limite della stagnazione. Il Pil complessivo sale dell’1,3% rispetto a un anno fa, ma il Pil pro capite mostra zero crescita trimestrale e un aumento di appena lo 0,8% su base annua. Tradotto: una fetta importante della popolazione non percepisce alcun miglioramento tangibile.

Il deflatore del Pil, il grande termometro dei prezzi nell’intera economia, aumenta del 3,8% su base annua, segnalando che la pressione inflazionistica è in rallentamento rispetto ai picchi recenti, ma resta tutt’altro che trascurabile. La combinazione fra prezzi ancora elevati e crescita reale fiacca è precisamente ciò che rende questo quadro così delicato.

Servizi e costruzioni salvano (di poco) il trimestre

Se il Pil britannico non è scivolato in territorio negativo nel terzo trimestre, lo si deve soprattutto al settore dei servizi e alle costruzioni.

I servizi, che rappresentano la fetta dominante dell’economia nazionale, registrano un +0,2% nel trimestre e circa +1,6% su base annua. A trainare sono soprattutto i segmenti business-facing, cioè le attività rivolte alle imprese, mentre i servizi più direttamente collegati ai consumi delle famiglie arrancano.

Spiccano, in particolare, le attività legate ad arte, intrattenimento e tempo libero, sostenute da eventi, spettacoli e una stagione culturale vivace. Qui si segnalano avanzamenti che, in alcune nicchie, assumono la forma di veri balzi in avanti, a conferma di un settore che sta ancora riconfigurando il proprio modello di business dopo gli anni della pandemia.

Positivo anche l’apporto del real estate e della pubblica amministrazione, che continuano a garantire un contributo stabile al Pil. È una crescita forse poco scintillante, ma sufficiente a mantenere il segno più davanti al dato complessivo.

Le costruzioni segnano un +0,1% nel trimestre, dopo incrementi più robusti nei mesi precedenti. Il comparto mostra però una netta differenziazione: i progetti infrastrutturali e alcuni investimenti pubblici procedono, mentre l’edilizia residenziale risente di mutui ancora costosi e di una domanda che, in molte aree del Paese, rimane cauta.

Industria in frenata: pesa lo stop delle auto

La vera zavorra del terzo trimestre è la produzione industriale, in calo dello 0,5% dopo un’altra contrazione nel trimestre precedente. All’interno dell’industria, la manifattura arretra in modo deciso, mentre il solo segmento energetico e quello idrico segnano lievi miglioramenti.

Il colpo più duro arriva dal settore dei trasporti, in particolare dalla produzione di autoveicoli. Il comparto dei mezzi di trasporto registra un calo intorno al 4,5% nel trimestre, con la sola produzione di auto, rimorchi e semirimorchi in flessione di oltre il 10% su base trimestrale.

Alla base del tracollo non c’è solo la domanda debole: un attacco informatico ha costretto un grande costruttore a fermare le linee per alcuni giorni, in quella che è stata classificata come un evento sistemico di alto livello per la cyber sicurezza industriale. L’episodio ha pesato in modo diretto sul Pil: la produzione di veicoli è crollata in settembre di oltre un quarto, sottraendo da sola una frazione misurabile alla crescita del mese.

In questo contesto, l’industria britannica si trova schiacciata fra costi energetici ancora superiori agli standard storici, tassi d’interesse che frenano gli investimenti e un contesto globale segnato da tensioni commerciali e incertezze sulla domanda estera.

Pil pro capite fermo: perché è un campanello d’allarme

Un dettaglio spesso trascurato, ma cruciale, è l’andamento del Pil pro capite. Al netto della crescita della popolazione, la ricchezza media prodotta per abitante nel Regno Unito non aumenta nel terzo trimestre e cresce solo marginalmente nell’arco dell’ultimo anno.

In altre parole, il Paese produce di più, ma questo “di più” si distribuisce su una popolazione più numerosa. Per molte famiglie, soprattutto quelle colpite dall’aumento dei prezzi negli ultimi anni, la sensazione è quella di una ripresa che non arriva mai in busta paga.

“La crescita c’è, ma è troppo debole per compensare davvero anni di erosione del potere d’acquisto”, osserva un economista di un grande centro di ricerca londinese, sottolineando come la combinazione fra salari reali compressi e spesa pubblica sotto pressione renda la ripartenza particolarmente fragile.

Uk in coda all’eurozona: il confronto internazionale

Lo scenario britannico appare ancora più complicato se confrontato con quello del resto del continente. Nel terzo trimestre 2025, il Pil dell’area euro cresce dello 0,2% sul trimestre e 0,3% nell’insieme dell’Unione, un ritmo modesto ma comunque superiore alla performance del Regno Unito.

Non si tratta di un divario abissale, ma di un segnale politico ed economico significativo: Londra arrancava già da alcuni anni nella parte bassa della classifica tra le grandi economie avanzate e ora si trova ad affrontare la fase post-inflazione con meno margini di manovra rispetto ad altri partner.

Le stime delle principali istituzioni indicano per il 2025 una crescita britannica attorno all’1,2–1,3%, con una seconda metà dell’anno più debole a causa dell’inasprimento delle condizioni finanziarie e dell’incertezza legata alle scelte di bilancio del governo. In parallelo, l’area euro dovrebbe mantenere un passo simile, se non leggermente superiore, sostenuta da politiche fiscali ancora espansive in alcuni Paesi.

Cosa pensa la banca centrale: inflazione in calo, crescita “subdued”

Davanti a questo quadro, la banca centrale britannica ha scelto, nella riunione di inizio novembre, di lasciare il tasso di riferimento al 4%, rompendo la sequenza di tagli che aveva accompagnato gran parte del 2024 e dell’inizio 2025.

Nelle sue valutazioni, l’istituto sottolinea che l’inflazione ha probabilmente raggiunto il picco e che le pressioni sui prezzi si stanno gradualmente attenuando, spinte anche da una crescita economica contenuta e da un mercato del lavoro meno tirato rispetto ai mesi precedenti.

“L’inflazione sottostante sta rallentando, sostenuta da una politica monetaria ancora restrittiva”, afferma il comitato di politica monetaria, avvertendo però che i rischi si stanno spostando sempre di più dal lato della domanda debole e della crescita.

La stessa banca centrale stima che la dinamica “sottostante” del Pil nel terzo trimestre sia intorno a +0,1%, cioè in linea con i dati ufficiali, e prevede un leggero miglioramento verso +0,2% nel quarto trimestre. Si tratta comunque di numeri che, nel linguaggio delle banche centrali, si traducono in un giudizio senza fronzoli: crescita debole.

Famiglie e imprese: la ripresa che non scalda i motori

Per le famiglie, la combinazione di prezzi ancora alti, salari reali che recuperano solo lentamente e tassi sui mutui che restano ben sopra i livelli del periodo pre-pandemico continua a frenare consumi e investimenti personali.

Le imprese, dal canto loro, segnalano un contesto fatto di costi elevati, domanda incerta e difficoltà di programmazione. Alcuni indicatori di fiducia mostrano segnali di stabilizzazione, ma su livelli che restano coerenti con un’espansione molto moderata.

“L’economia non è in recessione, ma rischia di restare intrappolata nella crescita zero se non si sbloccano investimenti e produttività”, avverte il responsabile economico di una grande associazione imprenditoriale, richiamando la necessità di politiche più mirate su infrastrutture, formazione e innovazione.

Le sfide per il governo: bilancio stretto e margini ridotti

Il governo si trova ora a dover conciliare tre obiettivi difficili da tenere insieme: contenere il deficit, sostenere la crescita e non riaccendere l’inflazione. La finestra per usare la leva fiscale in modo espansivo è più stretta rispetto al passato, sia per ragioni di credibilità sui mercati sia per i vincoli autoimposti sui conti pubblici.

Le prossime mosse di bilancio saranno quindi decisive. Un eventuale giro di vite fiscale troppo rapido rischierebbe di schiacciare ulteriormente un’economia già affaticata; al contrario, misure mirate su investimenti pubblici ad alta resa, sostegno alla transizione energetica e incentivi all’innovazione tecnologica potrebbero aumentare il potenziale di crescita senza alimentare eccessivamente la domanda nel brevissimo termine.

In gioco non c’è solo la performance di un trimestre, ma la capacità del Regno Unito di uscire da una lunga fase di bassa crescita cronica che dura ormai da anni, fra shock esterni, invecchiamento delle infrastrutture e bassa produttività.

Prospettive: tra stagnazione e ripartenza possibile

Guardando ai prossimi mesi, lo scenario più probabile è quello di un’economia che continua a muoversi a velocità ridotta, con una crescita intorno all’1–1,3% annuo, compatibile con un lento miglioramento ma lontana da una vera accelerazione.

Molto dipenderà dalla politica monetaria e dalla velocità con cui la banca centrale deciderà di ridurre ulteriormente i tassi, ma anche – e forse soprattutto – dalle scelte di politica economica del governo e dalla capacità di riportare fiducia in famiglie e imprese.

In assenza di una scossa positiva sul fronte degli investimenti, della produttività e delle riforme strutturali, il rischio è che il dato di +0,1% del terzo trimestre 2025 non sia un incidente di percorso, ma l’anticipazione di una fase prolungata di crescita al minimo, con il motore della quarta economia europea costretto a girare in folle. 

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