Il governo guidato da Giorgia Meloni rilancia l’ipotesi di un contributo da parte delle banche nel contesto della prossima legge di bilancio, mettendo in campo una sfida politica ed economica.
Da un lato, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti insiste che “ci sono spazi per tagliare l’Irpef e introdurre una pace fiscale”; dall’altro, la Corte dei Conti e l’Istat ammoniscono che gli “spazi sono molto stretti” per misure espansive. Le imprese, con Confindustria in testa, chiedono investimenti strutturali e visione triennale. Il nodo che si consuma è fra conti pubblici, solidarietà fra settori e incentivi alla crescita.
L’ipotesi contributo delle banche: un ritorno strategico
Il tema non è nuovo: già in anni recenti si è parlato di un “contributo straordinario” da chiedere al sistema bancario, specie quando il margine di manovra fiscale è limitato. Nel discorso pubblico odierno, la premier Meloni sostiene che “non ho intenti punitivi verso il sistema bancario”, ma che «come l’anno scorso» è possibile chiedere una mano.
Meloni ha sottolineato che, grazie alle politiche del governo, «c’è chi ha potuto contare su uno scenario migliore», e che per “mettere in sicurezza” chi è in difficoltà è lecito chiedere un supporto al sistema bancario.
Giorgetti, da parte sua, gioca la carta della responsabilità: l’obiettivo centrale è ridurre il debito e garantire la solidità finanziaria dello Stato. Rivolgendosi al sistema bancario, afferma che “non vogliamo perseguitare nessuno, ma è giusto che tutti facciano uno sforzo”.
Controrepliche dalla Corte dei Conti e dall’Istat
Ma questo disegno trova subito la guardia alzata degli organi di controllo. La Corte dei Conti, nell’analisi del Documento programmatico di finanza pubblica, rileva che la tenuta dei conti pubblici impone limiti precisi e che gli spazi per misure espansive sono “molto stretti”.
L’Istat, convocata in audizione sul Dpfp (Documento programmatico di finanza pubblica), avverte che per centrare la crescita dello 0,5 % per il 2025 non basta che il PIL resti “flat” nella seconda metà dell’anno: serve un’accelerazione di almeno 0,2 punti nel semestre in corso. Inoltre, l’Istat sottolinea che nel 2025 ci saranno tre giornate lavorative in meno rispetto al 2024, fattore che penalizza le stime su base statistica.
Da questa lettura emerge che un pacchetto corposo di tagli fiscali, incentivi e investimenti rischia di compromettere la sostenibilità delle finanze, soprattutto se non corredato da risorse certe nel medio periodo.
La pressione di Confindustria: più investimenti, meno debito “ideologico”
Nel mezzo delle fibrillazioni governative emerge la voce di Confindustria, con il presidente Emanuele Orsini che avverte: «non usiamo la rimodulazione delle risorse per abbassare il debito dello Stato, servono investimenti nel Paese».
Orsini ha più volte dichiarato che la crescita italiana è “anemica” e che la manovra non può limitarsi a tagli lineari o interventi tampone: servono idee e programmazione triennale.
Secondo il Centro Studi di Confindustria, il PIL nazionale crescerà solo dello 0,5 % nel 2025 e 0,7 % nel 2026 — livelli insufficienti per rilanciare l’economia — e occorre sbloccare investimenti produttivi per dare una spinta duratura.
Le linee in campo: Irpef, pace fiscale, investimenti e giovani
All’interno della maggioranza i fronti sono aperti e talvolta contrapposti. Forza Italia spinge per estendere il taglio dell’Irpef fino alla soglia dei 60.000 euro, ma la premier avrebbe ribadito che «l’obiettivo è dare un segnale al ceto medio, e significa parlare della fascia che arriva ai 50mila euro».
La Lega insiste sull’ipotesi del contributo bancario, definendolo «assolutamente doveroso». Il capogruppo dei senatori Massimiliano Romeo ha confermato che il sistema finanziario, viste le condizioni favorevoli, dovrebbe partecipare allo sforzo collettivo.
Parallelamente, la maggioranza sembra orientata a confermare e potenziare il congedo parentale all’80 % per tre mesi, con l’intenzione di estenderne la durata una volta verificate le coperture.
Il tema dei giovani torna spesso nei rilievi dell’Istat: per favorire la produttività e la crescita è necessario aumentare i salari in particolare per le fasce under 35, trattandoli “con i guanti bianchi”.
Le sfide strutturali sotto traccia
- Debito pubblico elevato: la riduzione è una priorità per il governo, ma ogni concessione fiscale deve conciliarsi con la sostenibilità di lungo periodo.
- Vincoli europei e rating esterni: l’Italia è sotto osservazione da istituzioni sovranazionali e mercati, e un deterioramento dei conti rischia di compromettere il credito.
- Orizzonte PNRR in esaurimento: la chiusura del PNRR nel 2026 impone un ripensamento del modello produttivo nazionale.
- Dipendenza dagli stimoli temporanei: l’economia italiana ha beneficiato di incentivi – bensì spesso non strutturali – per uscire dalla stagnazione.
Scenari possibili
Il governo prova a tracciare una rotta pragmatica: tagli all’Irpef per il ceto medio, una pace fiscale diluita nel tempo, contributo volontario (ma “necessario”) da parte delle banche, garanzia di stabilità e rigore nei conti pubblici. Tuttavia, gli organismi tecnici (Corte dei Conti, Istat) lanciano l’allarme sugli spazi reali e le criticità. Le imprese, soprattutto attraverso Confindustria, chiedono misura e visione: non basta comprimere il debito, serve dare ossigeno all’economia con investimenti e sviluppo.
Se il contributo delle banche venisse confermato, diventerà una carta politica di rilievo fino all’ultimo momento nella definizione della legge di bilancio, con probabili mediazioni tra le anime più rigide della maggioranza. Il tema chiave rimane se l’orizzonte politico del 2025 sarà domato da una manovra di breve respiro o segnerà l’avvio di un percorso più strutturato verso una crescita sostenibile.