Draghi nella ''top 100'' del Time, ma molti problemi restano irrisolti

- di: Redazione
 
Le classifiche che vengono elaborate su considerazioni e non sulla base di numeri e prestazioni lasciano il tempo che trovano perché la totale discrezionalità di chi le elabora le riduce a semplice divertissement e non certo a qualcosa da prendere come il Verbo. Per questo le classifiche che, annualmente, vengono stilate da molti media lasciano il tempo che trovano. Un modo come un altro per passare il tempo, con un grado di credibilità che spesso è inesistente. Una di queste classifiche - peraltro una delle più attese, vista l'autorevolezza di chi l'ha compilata - è quella del Time che, ogni anno, elenca i cento personaggi più influenti, che non significa più importanti, ma comunque meritevoli d'essere considerati nel ristretto novero di quelli che contano.
Un posto di riguardo è stato assegnato a Mario Draghi.

La motivazione di questa scelta è stata affidata al segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, che, sintetizziamo al massimo, ne sottolinea la capacità di elaborare, ma soprattutto si fare ritrovare gli altri sulle sue idee, a cominciare dai governatori delle Banche centrali.

L'inclusione di Draghi nella ''top 100'' di Time ci sta tutta, perché il nostro presidente del Consiglio sta facendo quello per il quale è stato chiamato a palazzo Chigi. Ma classifiche come queste lasciano sempre il dubbio che si cavalchi l'onda emozionale, quella del momento. A questo bisogna aggiungere che i nomi di alcuni personaggi che figurano nella classifica - come quelli del principe Harry e della moglie Meghan Markle, i cui meriti sono sconosciuti, almeno a noi - qualche dubbio sulla attendibilità lo lasciano.

Mario Draghi inserito nella top 100 della rivista Time

Non è il caso di Draghi che nella ''santificazione'' del Time deve vedere - come siamo sicuri che faccia - un incoraggiamento ad andare avanti lungo il sentiero che si è da solo tracciato accettando di fare il premier di un Paese in ginocchio. Ma ora il rischio vero è che il premier sia obbligato dal suo ruolo a inseguire risultati od obiettivi difficili, ma che è quasi costretto ad inserire nella sua agenda, sotto la spinta di una coalizione di governo che definire rissosa è riduttivo.

Prendiamo la battaglia contro la pandemia. Le scelte iniziali di Draghi sono state quasi obbligate perché la sua chiamata a premier era conseguenza proprio del clima di sfiducia che aleggiava sul precedente governo (al di là di quel che si legge quotidianamente su qualche giornale che auspica la salita all'iperuranio di Giuseppe Conte) e per una serie di inciampi che ne avevano fortemente compromesso l'immagine. La macchina del Paese ha ripreso a marciare, ma con tempi e modalità che non godono sempre del consenso generale. Ora è forse arrivato il momento che Draghi faccia valere il suo peso politico ''domestico'' e il prestigio che gode all'estero per tracciare un nuovo percorso che sia fatto di cose concrete, lasciando magari ai suoi litigiosi compagni di viaggio il compito di buttare tutto il politica.

La vicenda del Green pass e dei criteri e prescrizioni che dovranno presiedere alla sua adozione (compresi i tamponi, di cui tanto si sta discutendo per chiarire chi se ne debba fare carico economicamente) è fortemente simbolica di quel ''vorrei, ma non posso'' cui il governo deve adeguare il suo lavoro. Per raggiungere gli obiettivi della messa in sicurezza sanitaria l'Italia, occorre che la campagna vaccinale abbia immunizzato la quasi totalità della popolazione e che questo obiettivo sia reso possibile da condizioni generali che oggi, però, non ci sono. La situazione più emblematica è quella del trasporto pubblico che già prima dell'esplodere della pandemia era lontano dall'essere ottimale nella quasi totalità del Paese e che oggi non può certo adempiere al mandato di fare viaggiare tutti e in sicurezza.

Lo stato del trasporto pubblico in Italia e quello che è, e pensare che Draghi abbia la bacchetta magica per risolvere questo problema, che frena la sicurezza sanitaria, è pura follia. Ma da qualche parte bisogna pure cominciare ed è questo che si chiede al nostro primo ministro. La linea del rigore e della fermezza è qualcosa da cui non si può prescindere, così come dalla consapevolezza che il carico di problemi del passato è enorme e che la loro soluzione non si può affidare solo ad un decreto, ma necessità di fatti ed atti concreti.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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