Siamo donne, oltre il braccialetto c’è di più…

- di: Barbara Leone
 
Si chiamava Celeste Palmieri, 56 anni e madre di cinque figli. E’ lei la vittima dell’ultimo, l’ennesimo, femminicidio. Da tempo, aveva denunciato il marito per maltrattamenti. Dopo mesi di segnalazioni,  finalmente lo scorso febbraio i magistrati avevano disposto per lui il divieto di avvicinamento e l’applicazione di un braccialetto elettronico. Un dispositivo che avrebbe proteggerla, tenendo lontano il marito. Così non è stato. Venerdì, Celeste è stata uccisa mentre faceva la spesa in un supermercato di San Severo, in provincia di Foggia. Freddata da vari colpi d’arma da fuoco, che poi il marito ha rivolto verso se stesso togliendosi la vita. E così, ancora una volta il  braccialetto elettronico, su cui molte donne vittime di violenza fanno affidamento per sentirsi al sicuro, si è rivelato, inutile. Solo nell'ultimo mese, infatti, sono tre le donne sono state uccise nonostante i loro aggressori indossassero il braccialetto elettronico. Nonostante il costo significativo di questi dispositivi (nel 2023, Fastweb ha vinto un bando triennale da oltre 15 milioni di euro per gestire il servizio), le falle sono numerose. Basti pensare che anche le Forze dell'ordine denunciano che il sistema sia afflitto da oltre 20.000 falsi allarmi al giorno.

Siamo donne, oltre il braccialetto c’è di più…

Un’assurdità che, oltretutto, manda in tilt le pattuglie già sotto pressione, compromettendo la capacità di rispondere in modo efficace alle vere emergenze. Molte le critiche al riguardo. La presidente di “bon’t worry”, Bo Guerreschi, ha denunciato l’inefficienza di questi strumenti, affermando che molte vittime scelgono di non usarli, preferendo invece la geolocalizzazione offerta dall’ONG. “Il braccialetto elettronico è fallace e non previene le aggressioni,” ha dichiarato Guerreschi, mettendo in luce il fallimento di una tecnologia su cui si è investito molto, ma che nella realtà quotidiana non riesce a proteggere le donne. Perla Allegri, membro dell’associazione Antigone, ha criticato apertamente l'affidabilità di questa tecnologia, sottolineando come non sia una soluzione adeguata per prevenire la violenza di genere. Anche Elisa Ercoli, presidente di Differenza Donna, pur riconoscendo il valore potenziale del braccialetto elettronico, ha evidenziato che esso deve essere accompagnato da un monitoraggio costante e da una cooperazione efficace tra le istituzioni coinvolte, come previsto dalla Convenzione di Istanbul. Senza questi elementi, il braccialetto elettronico rischia di essere solo un’illusione di sicurezza.

Oltre al danno, anche la beffa di una narrazione che troppo spesso, seppure tra le righe, tende a spostare la responsabilità sulle vittime. Nel caso di Celeste Palmieri, per esempio, alcuni media hanno sottolineato come la donna non avesse accettato di trasferirsi in una struttura sicura. Un dettaglio che suona come una sottile, strisciante colpevolizzazione: perché non ha lasciato tutto e si è nascosta? Rigiro la domanda: perché dovrebbe essere la donna, la vittima, a dover stravolgere la propria vita per salvarsi? Perché non isolare chi rappresenta una minaccia, invece di far sentire la una fuggitiva? Questa logica è assurda e ingiusta. Le vittime di violenza non dovrebbero essere costrette a vivere nella paura, a cambiare città, lavoro e vita, mentre i loro aguzzini continuano a girare liberi, magari con un braccialetto che, come dimostrano i fatti, non è in grado di impedire loro di colpire ancora. Trasferire chi subisce violenza è il chiaro segno del fallimento sistemico e culturale di una società che non riesce ancora a mettere la sicurezza delle donne al centro della propria azione. La verità è che ogni nuovo femminicidio ci ricorda quanto la strada sia lunga e tortuosa. Celeste Palmieri, come tante altre donne prima di lei, aveva fatto tutto quello che poteva: aveva denunciato, aveva cercato di liberarsi. Eppure, è stata lasciata sola, e in balia di un marchingegno elettronico che la faceva sentire sicura.

Quando sicura non era. Il suo caso non è isolato: le statistiche sono impietose. Ma il fallimento del braccialetto elettronico è solo una parte del problema. Perché se non ci sarà un cambiamento radicale nel modo in cui affrontiamo la violenza di genere, continueremo a contare le vittime. La cultura della violenza è radicata profondamente nella nostra società, e finché non si interverrà in modo concreto su più livelli – dalla prevenzione alla protezione – la lista delle vittime diventerà infinita. Le parole non bastano più. Non bastano più i divieti di avvicinamento, peraltro a 500 metri: contateli un po’, saranno mille passi o poco più. E non bastano i braccialetti elettronici che ogni due per tre si inceppano. Serve una risposta seria, immediata e determinata che parta innanzitutto dalle famiglie: è lì che un maschio può diventare un uomo. Diversamente, saremo sempre preda di qualcuno.

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