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Solo il cognome della madre: la proposta Franceschini e il peso dei numeri

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Solo il cognome della madre: la proposta Franceschini e il peso dei numeri

Attribuire ai figli soltanto il cognome materno: è questa la proposta avanzata da Dario Franceschini, in discussione alla Commissione Giustizia del Senato. Accanto al suo testo, sono stati presentati altri disegni di legge, firmati da parlamentari di schieramenti diversi, a conferma che il tema dell’uguaglianza nella trasmissione dell’identità familiare ha ormai travalicato i confini ideologici. L’idea, secondo Franceschini, è quella di riequilibrare un’asimmetria secolare, quella per cui il padre trasmette il nome, la madre solo la vita.

Solo il cognome della madre: la proposta Franceschini e il peso dei numeri

Nel linguaggio politico, il disegno di legge è definito come un “risarcimento simbolico”. Ma la portata del gesto potrebbe avere conseguenze profonde su un sistema culturale che, ancora oggi, tende a marginalizzare la figura materna nei meccanismi istituzionali. La rivoluzione proposta non è nella burocrazia, ma nel riconoscimento pieno del ruolo della donna all’interno del nucleo familiare.

La spinta della Corte Costituzionale e la paralisi parlamentare
Il tema ha trovato nuova centralità dopo la sentenza n. 131 della Corte Costituzionale, pronunciata il 27 aprile 2022. In quella decisione storica, i giudici dichiaravano incostituzionale l’automatismo dell’attribuzione del solo cognome paterno, giudicandolo contrario al principio di uguaglianza tra i genitori e alla piena tutela dell’identità personale del figlio.

La Corte aveva invitato il legislatore a intervenire con urgenza, ma da allora il Parlamento non è riuscito a produrre una legge coerente e definitiva. I testi si sono accumulati nelle commissioni, senza mai arrivare in Aula. E così, in assenza di una norma chiara, restano le soluzioni tampone: il doppio cognome può essere richiesto con un accordo tra i genitori, ma non è automatico. La prassi continua a favorire il nome del padre.

Secondo le stime dell’Istat, solo il 2,8% dei nuovi nati in Italia nel 2023 ha ricevuto il cognome di entrambi i genitori. Di questi, una percentuale ancora più marginale ha ricevuto il solo cognome materno. Segno che il cambiamento, in mancanza di una cornice normativa forte, resta simbolico e circoscritto.

Il cognome come atto politico
Modificare la regola del cognome non è un dettaglio anagrafico. È una scelta politica che scardina un archetipo: quello della famiglia come proiezione della linea maschile. L’ordine dei cognomi non è neutro, è il riflesso di una gerarchia storica che ha assegnato al padre il ruolo di “capofamiglia” anche nella rappresentazione linguistica dei legami di sangue.

In questo senso, l’iniziativa di Franceschini — che prevede l’attribuzione automatica del solo cognome della madre in assenza di accordo tra i genitori — è un tentativo di ribilanciare il peso simbolico che la nostra società attribuisce ai ruoli genitoriali.

Ma non mancano le resistenze. C'è chi parla di una misura ideologica, chi invoca la “tradizione”, chi teme conflitti in sede di registrazione anagrafica. Eppure, proprio nei paesi europei che da tempo consentono flessibilità nella trasmissione del cognome — come la Spagna, la Francia, il Belgio — non si è verificato nessun disorientamento sociale. Solo un progressivo allineamento tra norme e sensibilità contemporanea.

Una formalità basta a colmare il gender gap?
Resta però il dubbio: può una riforma del cognome, per quanto significativa, davvero incidere sulle disuguaglianze strutturali che colpiscono le donne in Italia?

Nel nostro Paese, il gender pay gap è ancora del 15%, il tasso di occupazione femminile resta bloccato al 49% e le madri che scelgono di non lavorare — o che lo fanno in condizioni di part-time forzato — sono in costante aumento. La cura dei figli e degli anziani ricade ancora per oltre il 75% sulle spalle delle donne.

In questo scenario, l’attribuzione del cognome materno rischia di essere una conquista formale più che sostanziale. Una bandiera di modernità sventolata su una nave che affonda nel quotidiano della disparità.

Il dramma dei femminicidi
A tutto questo si aggiunge la ferita ancora aperta dei femminicidi. Nel 2024, secondo il Ministero dell’Interno, sono state uccise 113 donne, 99 delle quali in ambito familiare o affettivo. In 61 casi, l’autore del delitto era il partner o l’ex partner.

Si tratta di numeri che raccontano una violenza sistemica e strutturale, che affonda le radici nella cultura patriarcale e nel controllo che ancora troppi uomini ritengono di esercitare sul corpo e sulla vita delle donne.

È difficile credere che una riforma anagrafica possa avere un impatto su questa emergenza. Eppure, ogni atto che restituisca alle donne un pezzo di spazio pubblico — anche simbolico — è parte di un processo di riconoscimento che può contribuire a cambiare il clima culturale. A patto che sia accompagnato da misure concrete, risorse economiche, educazione e protezione reale.

Su questi temi, la battaglia è appena cominciata. E si combatte su più fronti: nelle leggi, nelle scuole, nei tribunali. Anche dentro un cognome.

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