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Culle vuote e imprese al collasso: l’inverno demografico italiano

- di: Bruno Legni
 
Culle vuote e imprese al collasso: l’inverno demografico italiano
Culle vuote, imprese al collasso: l’inverno demografico colpisce l’infanzia
Meno bambini, meno consumi, meno lavoro: la denatalità riscrive l’economia.

L’Italia che fa meno figli non è solo una questione sociale. È una scossa economica profonda che sta svuotando interi comparti produttivi. Il settore dei prodotti per l’infanzia è tra quelli che pagano il conto più salato: in dieci anni sono scomparse 3.300 imprese, travolte dal crollo delle nascite e da un mercato che si restringe anno dopo anno.

I numeri raccontano una trasformazione strutturale. Non un incidente congiunturale, ma un cambio di paradigma che sta ridisegnando la geografia industriale del Paese.

I numeri della crisi industriale

Alla fine del 2024 risultavano attive 17.626 imprese legate all’economia dell’infanzia. Dieci anni prima erano molte di più. La flessione complessiva è del 15,7%, ma il colpo diventa durissimo nel manifatturiero specializzato.

Le aziende che producono giocattoli, carrozzine e passeggini si sono ridotte di quasi un terzo: appena 1.052 realtà operative, contro oltre 1.500 nel 2014. Nel solo comparto dei giocattoli, le imprese sono scese da 3.163 a 1.028, mentre gli addetti sono crollati da oltre 4.200 a circa 1.500.

Le regioni industriali storiche pagano un prezzo altissimo: la Lombardia ha dimezzato le aziende del settore, l’Emilia-Romagna ne ha perse più di tre su quattro.

Carrozzine e passeggini: un made in Italy in affanno

Ancora più drastico il ridimensionamento di carrozzine e passeggini. Le imprese sono scese da 59 a 24, con oltre 300 posti di lavoro persi. Marchi storici del made in Italy sopravvivono a fatica, stretti tra la domanda interna in caduta libera e una concorrenza asiatica sempre più aggressiva, accentuata dagli squilibri commerciali internazionali.

Nel complesso, gli occupati dell’intero settore infanzia sono oggi 30.477, il 6,7% in meno rispetto a dieci anni fa. Nel manifatturiero la flessione supera il 26%.

Meno bambini, mercato più piccolo

La radice del problema è tutta nei numeri demografici. Al 1° gennaio 2025 i bambini tra 0 e 10 anni erano 4,84 milioni. Dieci anni prima superavano i 6 milioni. In pratica, il mercato potenziale ha perso 1,21 milioni di piccoli consumatori, pari a un crollo del 20%.

Il dato più allarmante riguarda i neonati: gli under 1 sono diminuiti del 25,5%. Un vuoto che si riflette direttamente su vendite, investimenti e occupazione.

Secondo Antonio Santocono, presidente di Infocamere, “fenomeni strutturali come le culle vuote producono effetti che attraversano l’intero sistema economico”, aggravati dalla crescita dell’e-commerce e dalle piattaforme di scambio tra privati.

Consumi in caduta, timidi segnali di reazione

Nel 2024 la spesa per prodotti non alimentari è cresciuta appena dello 0,6%, ma due comparti sono andati in netta controtendenza: giocattoli (-3,4%) e cancelleria (-2,9%).

Un lieve spiraglio arriva dalle vendite pre-natalizie e dai primi mesi del 2025, con una crescita stimata del 6,8% nel settore giocattoli. Un rimbalzo che, però, non basta a compensare una decade di contrazione.

Moda junior in sofferenza

Anche l’abbigliamento per bambini arretra. Il fatturato del kidswear italiano si è fermato a 3,1 miliardi di euro nel 2024, con un calo del 4,4%. Rispetto al 2019 il gap supera il 5%.

La rete commerciale si assottiglia: 1.032 negozi di abbigliamento per bambini e 1.751 punti vendita di giochi hanno abbassato definitivamente le serrande in dieci anni.

Il paradosso Campania

In un Paese sempre più anziano – età media 46,9 anni – la Campania resta la regione più giovane, con un’età media di 44,5 anni. Qui l’indice di vecchiaia è di 161 anziani ogni 100 bambini, contro i 283 della Liguria.

Non è un miracolo economico, ma il risultato di una struttura demografica storicamente più giovane, di una maternità più precoce e di reti familiari estese che suppliscono alle carenze del welfare.

Come osserva Alessandro Rosina, al Sud “la transizione verso l’autonomia è più lenta, ma il nucleo familiare resta centrale”. Un modello che oggi, però, non basta più.

Un minimo storico che pesa sull’economia

Nel 2024 l’Italia ha registrato appena 369.944 nascite, il dato più basso dall’Unità nazionale. Il tasso di fecondità è sceso a 1,18 figli per donna.

Un record negativo che non resta confinato alle statistiche: trascina con sé imprese, posti di lavoro e interi settori produttivi. Le culle vuote, ormai, sono anche fabbriche silenziose e negozi chiusi.

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