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Cuba, fame e randagi: la crisi che morde. I numeri (veri)

- di: Vittorio Massi
 
Cuba, fame e randagi: la crisi che morde. I numeri (veri)
Cuba, fame e randagi: la crisi che morde tra peso a 400 e blackout

Pensioni da fame, peso in picchiata e blackout: volontari e anziani tengono in piedi cani e gatti che nessuno può più sfamare, mentre gli abbandoni dilagano.

La scena, oggi

L’Avana, centro storico. Ogni pomeriggio un corteo di gatti segue Nélida Pérez, 81 anni. Lei spezza il pane più che può, chiede quel che non ha mai chiesto in vita sua. “Non ho mai domandato a nessuno un piatto per i miei gatti”, confessa Nélida Pérez, “ma ora faccio fatica: il turismo non c’è e l’economia è in crisi”.

Non è un’eccezione, è il nuovo standard. La combinazione micidiale di inflazione, salari erosi, negozi in valuta estera e rete elettrica instabile ha trasformato la cura degli animali in un lusso. Un sacco da 20 kg di crocchette costa circa 80 dollari, un vaccino annuale 20 e una visita veterinaria 10: cifre inaccessibili se il salario medio mensile è attorno ai 12 dollari.

Il contesto che spinge alla fame

La crisi non è uno slogan: a fine luglio e inizio agosto il peso cubano ha toccato un minimo storico sul mercato informale, intorno a 400 per un dollaro. Il risultato? Chi non riceve rimesse o valuta forte vede svanire il potere d’acquisto su beni essenziali — cibo compreso. La dollarizzazione parziale sta allargando le disuguaglianze.

A marzo, poi, un collasso della rete elettrica ha lasciato l’isola quasi al buio; blackout e cali di tensione mettono a rischio la catena del freddo e aumentano lo spreco alimentare nelle case.

E quando manca la luce e manca il cibo, esplode il malcontento: già nel 2024 proteste a Santiago de Cuba hanno messo al centro due parole — “cibo” ed “elettricità”.

Cani e gatti nel mezzo della tempesta

Nel parco Aldama, nel cuore dell’Avana vecchia, un gruppo di volontari ha trasformato una colonia felina in avamposto civile: dal primo nucleo di 15 gatti all’inizio della pandemia, oggi superano quota 150; gli abbandoni sono passati da 3 a settimana a 15 al giorno. “Le strade li uccideranno”, dice la farmacista Bárbara Iglesias, che ha adottato cinque cani.

Lo stesso trend lo confermano realtà locali: Aldameros — nato come progetto comunitario — racconta una crescita costante di animali accuditi e chiama a raccolta micro-donazioni per oltre 120 gatti censiti nel 2025.

L’onda lunga dell’emigrazione

Alla crisi si somma l’esodo. Migliaia di famiglie partono e non riescono a portare con sé i propri animali: i costi di viaggio e quarantena superano spesso i 2.000 dollari, così cani e gatti vengono lasciati indietro. “L’abbandono è la peggiore forma di maltrattamento”, ha detto l’addestratore Leandro Valdés, documentando l’impennata di abbandoni e l’impossibilità economica di trasferire gli animali.

La legge c’è, ma senza mezzi resta sulla carta

Nel 2021 Cuba ha approvato il Decreto-Legge 31 sul benessere animale: divieto di abbandono, obbligo di provvedere a cibo e acqua “per evitare fame e sete”. È scritto nero su bianco nel Decreto-Legge 31 del 10 aprile 2021 (art. 3.c e art. 5.a). Ma senza risorse — rifugi, cibo, veterinaria — la norma resta un manifesto.

Quando la fame bussa alla politica

La fame non è più un non-detto. Il 19 luglio 2025 emergono testimonianze crude dai refettori popolari: “La razione è piccola… la gente sviene per strada, svenuta dalla fame”, dice un utente a Holguín, mentre il governo annuncia un aumento delle pensioni da settembre. È la fotografia di una fragilità strutturale che travolge anziani e persone senza reti familiari.

Cosa dicono, davvero, i numeri (e perché contano per gli animali)

Il crollo della zuccheriera nazionale — spina dorsale del Novecento cubano — rispecchia l’insicurezza alimentare: la produzione è ai minimi e il Paese importa ciò che un tempo esportava. A fine 2024 è emerso come la filiera sia in ginocchio per carenza di carburante, fertilizzanti e macchinari. Meno zucchero e minore disponibilità di beni alimentari significano meno scarti e meno cibo anche per i randagi — la crudele coda lunga della recessione.

Voci dal campo

“I problemi sono tanti: non c’è acqua, non c’è luce, procurarsi cibo è sempre più difficile”, sintetizza Annelie González del Proyecto Aldameros. “Avere un animale significa nutrirlo e curarlo”, aggiunge, spiegando come gran parte del suo stipendio finisca in cibo e farmaci.

E Nélida, l’anziana dei gatti: “Finché avrò vita e salute, e la gente mi aiuterà, troverò sempre qualcosa da dar loro”.

Il punto: perché questa storia è più grande di cani e gatti

Qui non parliamo “solo” di animali. Parliamo di coesione sociale: quando la moneta crolla, i negozi in dollari diventano il vero mercato e i salari in pesos non valgono abbastanza; la rete elettrica si spegne per ore; la spesa mangia la pensione. Il primo taglio — inevitabilmente — colpisce ciò che non è strettamente necessario alla sopravvivenza immediata: cure veterinarie, crocchette, sterilizzazioni. Da lì in avanti è effetto domino: abbandoni, colonie sature, malattie. I fatti di agosto 2025 sul peso a 400 per dollaro, i blackout di marzo, e le proteste su “cibo e luce” compongono lo stesso mosaico.

Che cosa servirebbe (subito)

  1. Micro-finanziamenti continuativi in valuta forte ai progetti che funzionano (Aldameros, Aniplant e altre reti civiche), vincolati a cibo, sterilizzazioni e vaccini.
  2. Corsie rapide per donazioni dall’estero (cibo terapeutico, farmaci essenziali), riducendo costi doganali e tempi di sdoganamento.
  3. Applicazione effettiva del Decreto-Legge 31/2021: il divieto di abbandono non è morale astratta, è ordine pubblico (e salute).
  4. Trasparenza sui dati: senza contare i randagi non si programmano scorte, cliniche mobili, sterilizzazioni mirate.
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