L'Italia vuole ancora l'Europa? Ma a che prezzo?

- di: Diego Minuti
 
Le vicende (anzi no, chiamiamole con il loro nome, le peripezie) della trattativa di Bruxelles sugli aiuti Ue hanno chiarito, semmai ce ne fosse bisogno, che i rapporti di forza in seno all'Unione europea, prima legati al ''peso'' politico ed economico di ciascun Paese, ormai si sono ridotti ad un mero calcolo numerico.
Uno di quelli che avrebbe fatto la felicità dei primi Cinque stelle, cioè uno vale uno.

Bellissima enunciazione di principio, se parlassimo di democrazia rappresentativa, ma che non regge quando parliamo di una realtà complessa e contraddittoria quale da tempo si dimostra l'Unione europea. Oggi, a fronte di una crisi che può essere paragonata per impatto emozionale forse solo al drammatico dopoguerra, alla fine del secondo conflitto mondiale, lo spirito di Altiero Spinelli è evaporato sotto la spinta di egoismi nazionali, gretti calcoli politici e, siccome non ci facciamo mancare nulla, alchimie fiscali che hanno contribuito a dare, dico per esempio, ai Paesi Bassi fiato alle loro rivendicazioni, alla loro dichiarata volontà di entrare nella gestione di altri Stati, come l'Italia.

Mi sembra scontato dire che se i nostri conti pubblici fossero in ordine (o almeno non nello stato disastrato in cui si trovano oggi) il signor Rutte non si sarebbe mai permesso di reclamare il diritto di veto nei confronti dell'attuazione delle riforme in Italia.
Il gioco del premier dei Paesi Bassi non regge perché, e qui bisogna dare ragione a Giuseppe Conte (comunque non il primo a sostenere questa linea), un conto è chiedere il varo di un programma di riforme per evitare che lo sforzo di sostegno europeo non venga ad essere vanificato, un altro è riservarsi il diritto di esprimere un giudizio che, se negativo, si tradurrebbe in un veto.
Manco fosse l'Italia un protettorato dell'Aja.

Lo scontro, quindi, al di là dell'entità degli aiuti e dei meccanismi della loro erogazione, è proprio sulla scommessa di Rutte di ritagliarsi, grazie al richiesto e rivendicato diritto di veto, un ruolo di giocatore di primo livello in un'Unione europea che di Paesi Bassi s'è occupata, negli ultimi tempi, solo per stigmatizzare le incentivazioni fiscali concesse con grande disinvoltura a grosse aziende straniere. Un giochetto che, alla sola Italia, sarebbe costato qualcosa come sette miliardi di euro non incassati dal nostro erario.

Ma i Paesi Bassi (e con loro il gruppetto dei 'frugali', che non credo sia sinonimo di intelligenti e lungimiranti) sembrano volere andare allo scontro, per motivi, come ha detto lo stesso Conte, che sembrano non politici, ma elettorali. Quasi che stangare altri Paesi dell'Ue, a cominciare dall'Italia, sia una medaglia da esibire in comizi o talk show.
A questo punto credo ci sia da chiedersi se è questa l'Europa che gli italiani vogliono ancora oppure, perché in fondo sono corni della stessa domanda, se gli italiani credono ancora in questa Europa e, quindi, se valga ancora la pena restarci, in questo dando ragione non alle grezze argomentazioni dei capipopolo del centrodestra, ma ad uno spirito nazionale, ad un orgoglio che s'è andato perdendo per effetto delle soporifere discussioni dei regolamenti comunitari, perse dietro quisquilie.

Lasciamo alle loro dichiarazioni Salvini e Meloni, che ogni giorno attaccano Conte, qualsiasi cosa il presidente del Consiglio faccia. E fa sorridere sentire Matteo Salvini dire che è stanco vedere i ministri italiani andare a Bruxelles col cappello in mano.
E sì, perché se ci fosse andato lui, solo per il fatto di essere Salvini, gli altri Paesi se la sarebbero fatta addosso, terrorizzati sentendolo gridare ''Vendetta, tremenda vendetta''. Solo che Rigoletto era il buffone di corte.
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