Scuola: stallo Governo-Regioni, che fine ha fatto la ragionevolezza?

- di: Diego Minuti
 
Se mettete un po' d'attenzione ai rumori di fondo che arrivano dagli antri, sia pure tutti stucchi e lampadari di cristallo, in cui Governo e Regioni si stanno confrontando sulle problematiche del prossimo inizio delle lezioni scolastiche, potreste sentire le note dell'orchestrina del Titanic, che continua a suonare nonostante il disastro si stia avvicinando sempre di più.

Una sensazione di straniamento che dovrebbe essere avvertita nettamente da tutti ed invece non è, perché le posizioni (Governo-Regioni, ma anche Governo-Governo e Regioni-Regioni) sono così distanti da spingere a chiedersi il senso di sedersi ad un tavolo di trattativa così composito, in cui non c'è unità di intenti e strategie, sia in seno all'esecutivo che tra i presidenti delle Giunte regionali.

Sembra che la gravità della situazione sia un pretesto per regolamenti di conti che non hanno connotazioni squisitamente politiche, ma per affermare, ciascuno nei confronti del proprio elettorato, di esistere e quindi di meritare la riconferma.
Piuttosto che affrontare i molti e delicatissimi problemi della Scuola, sembra di assistere ad un regolamento di conti, il primo dei quali tra ''buonisti'' (il più è fatto, ora andiamo avanti) e i ''cattivisti'' (andiamoci piano, il virus è pronto a riesplodere, quindi non abbassiamo la guardia) , che non porterà a niente di positivo se non si cercherà un punto di mediazione che però appare ancora lontano.

Gli ostacoli, che si trovano sulla strada di una convergenza tra Governo e Regioni, sono molti ed anche difficili da superare per difficoltà oggettive. Come il distanziamento che dovrebbe essere attuato sui mezzi che garantiscono il trasporto degli studenti. Mettere tra un ragazzo e l'altro un metro di distanza si traduce in una drastica riduzione dei posti e, quindi, pone le amministrazioni regionali davanti alla necessità di ampliare l'offerta. Cosa che comporta un aggravio dei già non felici bilanci regionali. Il rischio vero è che, come ipotizzato dai presidenti di Regione, l'offerta del servizio di trasporto degli studenti si dimezzi, lasciando a terra almeno il 50 per cento dei potenziali fruitori.

Ma se quella dei trasporti è una vertenza di facile comprensione e, contestualmente, di difficile soluzione, ce ne sono altre che appaiono strumentali, anzi pretestuose.
Prendiamo l'obbligo delle mascherine in classe. A richiederlo non è un soggetto poco qualificato, ma il Comitato tecnico scientifico. Una richiesta di ragionevolezza, che si può anche non condividere per motivi pratici, ma che ha un senso perché, statistiche alla mano, i giovani sopportano meglio il contagio, ma poi tornano a casa e rischiano di infettare i congiunti, tra i quali spesso ci sono anziani.

Si tratterebbe di chiedere ai ragazzi, ed anche ai docenti, un sacrificio che, vista la posta in palio, sarebbe accettato perché i nostri giovani sono molto più maturi di quello che si pensa (almeno la maggioranza di loro). Tutti dovrebbero essere d'accordo, quando in gioco c'è la salute dei ragazzi.

Ma non è così, perché a dire no sono stati Toti (Liguria) e Zaia (Veneto). Come non pensare ad un qualche collegamento con l'ultima sortita di Matteo Salvini, che ha detto che non manderà a scuola la figlioletta, se ci sarà l'obbligo della mascherina e delle divisioni di plexiglass?

Forse sarebbe il caso che l'interesse generale sia fatto prevalere su quello particolare e che, per una volta tanto, la politica restasse sull'uscio delle stanze dove si prendono (o si dovrebbero prendere) decisioni importanti. Forse più degli uomini chiamati a prenderle.
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