Ma Conte ha capito cosa deve fare un primo ministro?

- di: Diego Minuti
 
Giuseppe Conte ha forse capito cosa sia realmente fare il primo ministro in un Paese che accumula crisi da tempo immemorabile e che sperava in lui, almeno quella parte della popolazione che aveva guardato con favore e simpatia l'esperimento di un "non politico" a Palazzo Chigi.

Lo ha capito in queste ore, volando a Bengasi per risolvere la vicenda dei 18 marinai siciliani (ma anche tunisini) sequestrati, con i loro due pescherecci, dalle milizie libiche che ormai spadroneggiano nel Paese nordafricano. Forse avrebbe dovuto assumere ben prima questa iniziativa, ma bisogna accontentarsi che lo abbia fatto ora, vedendo il lato positivo della vicenda.
Ma anche questa storia (che è difficile definire, se incresciosa per il Paese; intollerabile per il diritto internazionale; dolorosa per le famiglie dei sequestrati e l'intera marineria siciliana) dimostra come statisti non ci si inventa e che per fregiarsi di questa definizione occorra dare prova di intelligenza (e sin qui, pensando a Conte, ci siamo), buonsenso (come se gli italiani fossero figli e non clienti dell'avvocato del popolo), equilibrio (tra le istanze delle forze politiche che lo sostengono). E queste sono cose che sia acquisiscono col tempo e la pratica.

Credo che sia d'origine napoletana (e, se non lo è, mi scuso con chi ne detiene il copyright) il detto che "nessuno nasce insegnato", cioè che certe cose si apprendono nel tempo e quindi non ci si deve autoreferenziare solo per essere stato scelto per un ruolo per il quale, come dimostrano i fatti, forse Giuseppe Conte non era ancora pronto. Ad un capo di governo si devono chiedere tante cose, ma se mancano le basi non ci si può certo inventare.

Conte ha dimostrato, purtroppo, di non pretendere da se stesso quell'autonomia che deve essere alla base dell'agire di un presidente del consiglio che, se vede inficiata la fiducia di chi l'ha voluto dove oggi è, deve prenderne atto e non traccheggiare, come lui dà l'impressione di fare. L'esempio delle misure da adottare nelle feste di fine anno per arginare i contagi è lampante.
Mentre l'opposizione chiede le elezioni immediatamente (ottima idea: farlo in piena crisi pandemica, in un Paese che, a differenza degli Stati Uniti, non ha il voto per corrispondenza), Conte sembra non essere nelle migliori condizioni per decidere e, soprattutto, farlo per il meglio.

I numeri delle vittime della pandemia (morti, contagiati, guariti, ricoverati nelle terapie intensive, tamponi) disegnano un quadro dell'Italia ancora lontana dal dirsi fuori dalla crisi e che quindi ha bisogno di misure drastiche. Lo dicono gli esperti, tutti, compatti. Lo dicono i presidenti di Regione (dei due schieramenti, Zaia e De Luca in testa), con qualche eccezione che potremmo ridurre a folklore politico.

Eppure Conte non sembra ascoltare, chiuso in una torre eburnea che è tale solo ai suoi occhi. Ecco quindi che sembra volere andare verso misure dure, ma limitatamente ad alcuni giorni canonicamente riservati a pranzi e cene, a scambio di visite e regali. È come la battuta della ragazza un po' incinta.
La situazione è di gravità evidente, ma non agli occhi di chi deve dire l'ultima parola. Come se la crisi possa essere guardata con ottimismo, anche per l'arrivo imminente del vaccino, che potrebbe essere inutile se si dà il via libera a tutti, ad eccezione di pochi giorni.

Giuseppe Conte, persona degnissima e sicuramente onesta, non era nato per fare il politico. Si è ritrovato a farlo con un incarico ben superiore a quello al quale realisticamente aspirava e, ammettiamolo, non era pronto. E forse non lo è nemmeno adesso in cui, per dirla brutalmente, dovrebbe tirare fuori gli attributi e prendere le decisioni necessarie. Forse non giuste, ma necessarie, a dispetto di quello che pretendono da lui i suoi ministri di riferimento. Come farebbe un buon padre di famiglia.
Decida e solo allora potrà guardare in faccia gli italiani che gli riconosceranno coraggio e, con esso, stima.
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