Comunali: la città di Roma non sia ostaggio della politica nazionale
- di: Diego Minuti
C'è una città, che è anche la capitale.
C'è una città immensa, dal perimetro talmente grande che ogni problema non è mai piccolo e col tempo diventa irrisolvibile.
Ed è una città che, nel 2021, dovrebbe vedere rinnovato il consiglio comunale ed eletto un sindaco.
Questa città è Roma che, tanto per usare una frase da crime story, è purtroppo con le spalle al muro, chiedendosi che male abbia mai fatto per meritarsi lo spettacolo al quale è costretta quotidianamente ad assistere, con dei partiti che non ne hanno a cuore il futuro, ma sembrano impegnati ad elaborare strategie politiche che sembrano non considerare il degrado al quale essa è ormai ridotta, e non solo per colpa di Virginia Raggi, ultima in ordine di tempo, ma anche lei con le sue responsabilità.
Roma non merita di essere considerata un laboratorio, non ha certo il tempo per diventarlo. E non merita nemmeno di essere considerata alla stregua di una merce di scambio, parte di un "do ut des" portato avanti con totale disinteresse verso le vicende di una città che è tutto e l'esatto contrario e forse proprio in questo sta il suo fascino, che dura da millenni.
Per questo, prima di trovare un candidato spendibile (ce ne saranno pure, speriamo), forse sarebbe il caso di elaborare un manifesto di cosa si vuole effettivamente fare di Roma, che non può essere ridotta ad essere guidata da scarti della politica, manager che hanno fallito, persone che non possono garantire altro che la loro presunzione ed il loro ego.
I problemi sono tantissimi ed evidenti. Roma ha trasporti urbani indegni di questo nome e, per una volta, cercando anche di essere onesti, molti di essi sono conseguenza di una politica del personale insieme miope e permissiva, come certificano le statistiche sulla produttività di altre grandi città.
E Roma ha anche bisogno di potere guardare con orgoglio e senso di sicurezza al proprio corpo di polizia municipale, su cui troppo e male si è detto, prendendo per buona l'idea che se c'è una mela marcia, tutte le altre difficilmente non lo diventeranno.
L'aspetto che deve fare riflettere è che la maggior parte dei problemi sono antichi, cristallizzati, ma solo perché glielo si è consentito, con tanti saluti alla buona amministrazione. Quella che, ad esempio, non può dire sempre no per partito preso. O l'amministrazione che affida le sorti di una città bellissima e complessa come Roma, che bisogna conoscere per amare, a manager fatti arrivare da fuori solo perché raccomandati dal santone di turno.
Che poi questi manager abbiano fallito non è colpa di nessuno, forse ad eccezione di chi li ha ingaggiati, sommergendoli di lodi sperticate quanto mal riposte.
Vorremmo solo lanciare un invito a chi ha in mano le sorti future di questa nostra capitale: pensate al suo bene e non al vostro tornaconto; lavorate per darle il meglio, in termini di uomini e di strategie; non crediate che modelli che hanno funzionato altrove siano replicabili in una città che ha le sue peculiarità e quindi necessita solo di un elemento: chi la dovrà guidare deve amarla, solo e soltanto amarla.
Il resto, vedrete, verrà da solo.