Il sasso lanciato da Bonomi nelle acque stagnanti della politica

- di: Diego Minuti
 
In politica nulla accade per caso o senza che vi siano stati segnali anticipatori, sia pure sfumati. Ne abbiamo esempi anche recenti: la sortita, in bermuda, petto nudo, infradito e mojito in mano di Salvini dello scorso anno (quella del 'voglio pieni poteri'') non era certo inattesa perché il nervosismo faceva già capolino in molte dichiarazioni del segretario della Lega. Quindi ''io al posto di Conte'' era già nell'aria e nessuno se ne sorprese.

Lo stesso può dirsi per l'economia e la finanza, mondo bicefalo ai più sconosciuto, ma che ha regole ben precise, come quella che lascia campo libero a squali e speculatori bravi sino a quando non li beccano o falliscono.
Per questo, ci sia concesso, non crediamo che la potentissima sparata di Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, nei confronti del governo e, più in generale della politica, sia stata un fulmine a ciel sereno.

Bonomi ha lanciato un messaggio molto forte, sia pure con quale asprezza dialettica di troppo (la politica è in vacanza, ha ammonito, e questo non è completamente vero), nei confronti di un Palazzo in cui manca l'unicità di intenti ed obiettivi che è necessaria in questo delicatissimo momento del Paese.
Il 'leader maximo' di Confindustria è andato giù in modo molto pesante, rivendicando alla classe patronale maggiore libertà di azione (tema ricorrente) in una contingenza che non permetterebbe (sì, al condizionale) ulteriori ritardi e, peggio, nuovi errori di strategia.

La proposta di sostanza è stata quella di un nuovo patto di programmazione che tenga dentro le istanze di Confindustria, della politica e delle altre parti sociali che possano sedersi al tavolo vantando diritti di rappresentanza.

Bonomi non è stato il primo, né sarà l'ultimo a lanciare una proposta del genere che, ammettiamolo, ha pochissime possibilità di tradursi in realtà. Perché quando ci si siede intorno ad un tavolo per partorire un accordo che metta tutti d'accordo si dovrebbe partire dalla medesima considerazione di fondo: non ci si alza se ciascuno non è disposto a fare anche un passo indietro per il bene comune. E questo, per definizione, non può accadere se c'è ma mettere insieme, senza collidere, le istanze del patronato, del sindacato e della politica, ognuno interessato a fare la sua parte, magari marginalizzando il ruolo degli altri.

Ma la sortita di Carlo Bonomi un obiettivo (non sappiamo se fosse quello primario) lo ha raggiunto: ha toccato un nervo scoperto della politica dicendo che forse, prima delle beghe all'interno delle coalizioni, prima del cappello da mettere sulla poltrona di primo ministro, prima di discutere sull'opportunità di indossare o meno la mascherina, se mandare i propri figli a scuola con la prospettiva di stare a distanza dagli altri alunni, bisognerebbe pensare a quella entità che ancora, se non è cambiato nulla nelle ultime ore, si chiama Italia.

Certo, il presidente di Confindustria non poteva non fare affermazioni da imprenditore, ma il fatto di avere lanciato un appello all'unità nazionale, in termini di intenti, non può essere sottovalutato. Forse le sue parole non sono state totalmente immerse nel galateo e nel linguaggio della politica (che si blinda dalle critiche dall'esterno, ma che, al suo interno, cade spesso nell'insulto), ma almeno hanno scosso le acque stagnanti di queste settimane.
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