L’annuale indagine Confindustria sul lavoro, svolta tra febbraio e aprile 2024, fornisce informazioni per il 2023 e inizio 2024 su struttura dell’occupazione e politiche aziendali di gestione del lavoro nelle aziende associate: la prima evidenza è l’aumento dell’occupazione dipendente complessiva nelle imprese associate a Confindustria, pari al 1,4% tra fine 2022 e fine 2023, sintesi di un incremento dello 0,5% nelle imprese dei servizi e dell’1,9% in quelle dell’industria. L’aumento coinvolge le imprese di ogni classe dimensionale – seppur in misura diversa – da quelle fino a 15 dipendenti (+0,6%) a quelle con 16-99 dipendenti (+2,1%) a quelle da 100 dipendenti in su (+1,1%), ed è trainato dalla componente femminile (+3,4%), mentre quella maschile risulta pressoché stabile. Secondo i dati della Rilevazione sulle Forze di Lavoro condotta dall'Istat, l’occupazione alle dipendenze complessiva in Italia nel 2023 ha invece registrato una crescita media annua simile per uomini e donne, con un aumento rispettivamente del +2,2% e del +2,5%.
Confindustria: occupazione in crescita grazie alle donne, ma il 70% delle imprese non trova personale
Rispetto alla tipologia contrattuale, nel corso del 2023 nelle imprese associate si registra una crescita degli occupati dipendenti a tempo indeterminato (+1,7%) e una contrazione di quelli a tempo determinato (-5,4%), una divaricazione registrata anche per il complesso dell’occupazione dipendente in Italia (dati Istat). Rispetto al totale, l’occupazione a tempo indeterminato si conferma la tipologia contrattuale di gran lunga prevalente nelle imprese associate (il 92,6% del totale dei dipendenti è impiegato con tali contratti), mentre gli occupati a tempo determinato rappresentano il 5,2% del totale. Tra il 2022 e il 2023 risultano in marcato aumento gli apprendisti (+14,9%), sia nell’industria (+5,4%) sia e soprattutto nei servizi (+29,4%), dove d’altronde erano calati nei tre anni precedenti.
Quasi un terzo delle imprese associate (30,6%) ha impiegato nel 2023 almeno un lavoratore in somministrazione a tempo determinato (ex-interinale), con una diffusione più alta nell’industria (39,9%) e nelle grandi imprese (72,3% in quelle con almeno 100 dipendenti). Per dare un’idea dell’intensità di utilizzo, si consideri che il numero di lavoratori in somministrazione di cui si avvalsa l’impresa complessivamente nell’anno è pari mediamente al 7,4% della forza lavoro complessiva riportata al 31 dicembre 2023.
La somministrazione a tempo indeterminato (staff leasing) è stata utilizzata mediamente dal 9,6% delle imprese, anche in questo caso più nell’industria (14,3%) e nelle grandi imprese (35,1%), per una quota di lavoratori somministrati in corso d’anno pari all’1,0% della forza aziendale. Il ricorso alla somministrazione, in termini sia di imprese che lo utilizzano sia di lavoratori coinvolti, è risultato nel 2023 ampio e molto stabile rispetto alla precedente rilevazione relativa al 2021, confermando che si tratta di una forma di impiego a cui le imprese fanno efficacemente ricorso per selezionare tempestivamente risorse specifiche da inserire in organico.
Come nelle precedenti edizioni, anche quest’anno l’indagine misura il turnover in entrata (pari al 17,8% nel 2023) e in uscita (16,2%). Il tasso di turnover complessivo, quindi, dato dalla somma di lavoratori assunti e cessati nel corso dell’anno sul totale dell’occupazione a fine 2022, è risultato pari al 34,0%. Il turnover si conferma decisamente più alto nelle imprese dei servizi (47,1%) rispetto all’industria (25,7%), mentre non si rilevano differenze sostanziali tra classi dimensionali.
Gran parte del turnover in uscita è determinato da dimissioni, che hanno rappresentato la causa della fine del rapporto di lavoro nel 65,8% dei casi di cessazione.
Nel corso del 2023 le ore lavorabili pro-capite, al netto delle ore di Cassa Integrazione Guadagni, sono state mediamente pari a 1.701. Di queste, 111,9 non sono state lavorate a causa delle assenze dal lavoro (retribuite e non). Il tasso di assenteismo (calcolato come il rapporto tra le ore di assenza e le ore lavorabili) si è dunque attestato al 6,6%. L’incidenza delle assenze, come calcolata sulla base dei dati dell’indagine Confindustria sul lavoro, è risultata più alta nei servizi (7,2%) che nell’industria in senso stretto (6,2%).
Il tasso di assenteismo si è confermato crescente all’aumentare della dimensione aziendale: 7,3% in quelle con 100 e più addetti, 4,5% in quelle fino ai 15. La malattia non professionale si è confermata la causa più frequente di assenza (3,5% delle ore lavorabili di un addetto medio), seguita dai congedi retribuiti (pari all’1,1%), mentre le categoria dei permessi per Legge 104 e degli altri permessi retribuiti rappresentano ciascuna lo 0,7% delle ore di assenza nell’anno. L’incidenza delle assenze è risultata pari al 5,8% tra gli uomini e all’8,3% tra le donne. I congedi parentali spiegano la quasi totalità della differenza, essendo pari al 2,6% delle ore lavorabili per le donne e allo 0,5% per gli uomini.
Sulla base dei risultati dell’ultima indagine, inoltre, è stato rilevato che nei primi mesi del 2024 oltre un quarto delle imprese associate (25,2%) sono stimate applicare un contratto aziendale, cioè firmato con RSU/RSA o rappresentanze territoriali. Il dato complessivo risulta come media di una diffusione più alta nell’industria in senso stretto (33,4%) e più bassa nei servizi (18,1%).
Gli accordi sono anche molto più diffusi nelle grandi imprese (68,3% tra quelle con almeno 100 dipendenti) rispetto alle piccole (11,8% se i dipendenti sono al massimo 15). Di conseguenza, la percentuale di lavoratori coperti da un contratto aziendale è più alta rispetto alla quota di imprese e raggiunge quasi i due terzi del totale nel campione complessivo (65,1%) e il 70,8% nell’industria in senso stretto.
Tra le materie regolate nei contratti aziendali, in primis, i premi di risultato collettivi: oltre il 60% dei contratti aziendali nelle imprese associate a Confindustria li prevede, e la quota sale all’83,4% tra le imprese con almeno 100 dipendenti (la diffusione raggiunge il 91,3% nelle grandi aziende nell’industria al netto delle costruzioni).
Molto diffuse nella contrattazione aziendale anche la possibilità di conversione del premio di risultato in welfare (47,7%) e la regolazione dell’orario di lavoro (46,7%). In oltre un terzo dei contratti aziendali sono regolati, inoltre, l’offerta di servizi di welfare aggiuntivi rispetto a quelli previsti per legge, CCNL o regolamento aziendale (39%), iniziative di conciliazione vita-lavoro (36,7%) e il lavoro agile (33,9%).
I risultati dell’indagine mostrano che oltre la metà (il 51,3%) delle imprese associate a Confindustria ha adottato iniziative di welfare, con la quota che sale al 57,0% nell’industria e si ferma al 43,7% nei servizi. La diffusione del welfare cresce con la dimensione aziendale: è maggiore nelle imprese con più di 100 addetti (78,7% la media complessiva, che arriva all’85,2% per quelle industriali), mentre è del 58,8% in quelle medie e del 40,9% in quelle con al massimo 15 addetti.
Il 51,3% delle imprese che sono stimate erogare welfare ai propri dipendenti può essere scomposto in relazione alla fonte istitutiva, ovvero come somma di quelle che lo erogano da contrattazione aziendale (14,4% del totale) e di quelle che invece lo erogano perché previsto da altre fonti, per esempio il CCNL o per iniziativa unilaterale del datore di lavoro. Questo secondo gruppo, per cui la fonte istitutiva del welfare esclude il contratto aziendale, è preponderante a prescindere dal settore e nelle imprese piccole e medie, mentre la contrattazione aziendale si conferma la fonte istitutiva privilegiata nelle grandi imprese.
Anche lo smartworking ormai h preso piede rivoluzionando il sistema lavoro: i risultati indicano che la quota di imprese che utilizzano lo smart working si è quasi quadruplicata, da 8,9% nel pre-pandemia a 32,6% nel 2023. Questa modalità di lavoro si conferma maggiormente diffusa nelle imprese dei servizi (38,5%) rispetto all’industria (28,2%), anche per la natura stessa dell’attività. In particolare, poi, la diffusione del lavoro agile è legata alla dimensione aziendale, essendo presente in meno di un quarto delle imprese piccole, con meno di 15 dipendenti (24,2%), in circa un terzo delle imprese medie, tra 16 e 99 dipendenti (35,5%), e in due terzi delle imprese grandi, con più di 100 dipendenti (66,6%).
Nell’indagine di quest’anno, spicca in particolare la difficoltà di reperimento di personale nelle politiche di assunzione per ben il 69,8% delle imprese, che ha riportato di aver riscontrato difficoltà. La quota di imprese che dichiarano difficoltà è più elevata nell’industria (73,5%) che nei servizi (65,0%) e cresce con la dimensione aziendale, dal 64,8% nelle imprese piccole, al 72,8% in quelle medie e al 77,6% nelle grandi: le problematiche maggiori riguardano competenze tecniche (segnalate dal 69,2% delle imprese con difficoltà di reperimento) e per quelle manuali (47,2%). Meno diffuse le segnalazioni riguardanti le competenze trasversali (16,5%) e quelle manageriali (8,3%).
Per quanto riguarda, invece, gli ambiti aziendali, si registrano maggiori problemi nel reperire risorse con competenze funzionali alla transizione digitale, segnalate mediamente dal 66,3% delle imprese con difficoltà di reperimento, e in particolare dal 76,6% nei servizi (contro 58,4% nell’industria). Risultano meno diffuse le problematiche negli ambiti internazionalizzazione (32,5%) e green (15,1%), anche se per entrambe si rileva una maggiore diffusione in imprese grandi e industriali.
Quasi i due terzi delle imprese che segnalano difficoltà di reperimento (64,3%) intraprende azioni per farvi fronte, concentrandosi soprattutto sulla formazione del personale attualmente in forza (59,7%). Da sottolineare, inoltre, che il 49,0% delle imprese ricorre a servizi esterni, come consulenze e collaborazioni, e che il 38,3% è intervenuta allargardo il bacino di ricerca in termini di aree geografiche o metodologie di recruitment. Infine, più di un quarto del totale delle imprese (28,5%) è coinvolto in programmi educativi sul territorio (ITS Academy, PCTO, tirocini curriculari, ecc.), oltre la metà (50,7%) tra quelle più grandi.
Ancora in tema di competenze, dall’indagine risulta che nel corso del 2023 ben oltre la metà delle imprese ha offerto ai propri dipendenti (non dirigenti) almeno un’attività di formazione diversa da quella obbligatoria, per una percentuale di dipendenti in formazione in queste imprese mediamente pari al 57,0%.
Come detto, la formazione dei dipendenti rappresenta una delle azioni principali messe in campo dalle imprese per affrontare la carenza di competenze sul mercato del lavoro. Tale evidenza è dimostrata anche dal fatto che, se nella media nazionale la quota di imprese che ha svolto attività di formazione nel 2023 è pari al 57,0%, la quota di imprese “formatrici” è sensibilmente più alta tra quelle che hanno riscontrato una qualche difficoltà di reperimento delle competenze (66,0%) rispetto a quelle che o non cercavano o non hanno riscontrato difficoltà (51,4%). Ciò vale a prescindere dal settore o dalla dimensione aziendale, ma va tuttavia rilevato che la differenza tra le due quote è sensibilmente più alta nell’industria (dove è pari a 18 punti percentuali) e in particolare tra le piccole imprese industriali (21,6 punti percentuali).