Tra il 2024 e il 2025 il terziario italiano ha vissuto una trasformazione profonda. Secondo Confesercenti, i tre comparti di commercio al dettaglio, alloggio e ristorazione perdono complessivamente oltre 21.700 imprese, pari a una contrazione del 2,9%. Una emorragia che attraversa ogni tipologia di territorio: dai piccoli centri alle grandi città. Eppure, mentre il numero delle attività si assottiglia, gli addetti aumentano di circa 17 mila unità. Meno imprese, più lavoratori: un paradosso solo apparente, che segna l’avanzare di strutture imprenditoriali più grandi e organizzate.
Confesercenti, il terziario cambia pelle: meno imprese, più addetti
Il commercio al dettaglio è il grande sconfitto di questa fase. Qui il calo è netto: meno punti vendita, meno personale (-25.751 addetti), soprattutto nei comuni fino a 50 mila abitanti. Quei luoghi dove la presenza delle attività commerciali non è solo economia, ma presidio sociale. Le città maggiori tengono, ma non crescono: il loro saldo è quasi piatto, segno di una concentrazione dell’offerta nei poli più forti.
Diverso l’andamento dell’alloggio, che continua a espandersi. Gli addetti salgono da 432 mila a 445 mila, con incrementi significativi soprattutto nelle destinazioni turistiche di media dimensione e nelle metropoli. È il turismo, ancora una volta, a trainare una parte consistente dell’occupazione nei servizi. E anche la ristorazione mostra un segno più, con quasi 30 mila addetti in più e una crescita concentrata nelle aree più popolate.
Un terziario più selezionato ma meno diffuso nei territori
La riduzione del numero delle imprese riguarda soprattutto le ditte individuali: oltre 30 mila in meno, 82 al giorno. Accanto a loro arretrano anche le società di persone, quasi 11 mila in meno. A crescere sono invece le società di capitali, 19 mila in più, che si affermano soprattutto nelle aree urbane e nei territori a forte vocazione turistica. È il segno di una trasformazione strutturale: sopravvive chi è più solido, chi può investire, chi ha capacità organizzative più robuste. Ma questa selezione lascia vuoti interi pezzi di Paese.
Il rischio di territori impoveriti
Confesercenti lancia un avvertimento: la concentrazione dell’offerta rischia di generare deserti commerciali, specialmente nei centri minori. Dove chiude un negozio non sparisce solo un’attività economica: si spegne un punto di riferimento, un luogo di relazione, un presidio quotidiano contro isolamento e degrado. Il sistema appare più strutturato, ma anche più sbilanciato. E questo squilibrio, se non governato, può scavare fratture profonde nella coesione sociale delle comunità locali.
L’occupazione si sposta verso le città più forti
La geografia del lavoro nei servizi si sta spostando verso poli più grandi, attrattivi e turistici. Nel commercio, la perdita nei comuni piccoli è quasi totale. Nel turismo e nella ristorazione, invece, le grandi città registrano incrementi evidenti, confermando la crescente polarizzazione del comparto. L’Italia dei servizi cresce, ma cresce solo in alcune aree. E questo ridisegna non solo l’economia, ma anche le traiettorie future dello sviluppo territoriale.
Una transizione da governare, non da subire
La fotografia scattata da Confesercenti racconta un terziario che cambia pelle: meno diffuso, più concentrato, strutturalmente più forte ma territorialmente più fragile. Una trasformazione che richiede politiche attive, incentivi mirati e strumenti capaci di sostenere le microimprese, evitando che il tessuto produttivo di intere comunità si sfaldi in silenzio.
La sfida, avverte l’associazione, è garantire equilibrio: accompagnare la crescita delle realtà più solide senza abbandonare quelle più piccole, che restano indispensabili per la vitalità economica e sociale del Paese.