L'all in dei Cinque Stelle all'esame di Mattarella (ma anche di Draghi)

- di: Redazione
 
L'epilogo in Senato dello psicodramma in salsa grillina non ha forse avuto l'esito che Giuseppe Conte (con i registi occulti, ma nemmeno tanto, della sua strategia) sperava. Perché, non partecipando al voto di fiducia, i grillini hanno forse consegnato il Paese ad uno scenario ben diverso da quello che speravano.
L'esito della votazione - con la defezione dei Cinque Stelle dalla maggioranza di governo - non ha solo segnato la spaccatura della coalizione, ma forse anche il punto di non ritorno di una crisi strisciante che andava avanti da settimane e che altri - che pure avrebbero potuto avere interesse a ufficializzare per mettere a reddito sondaggi e percezioni - si erano ben guardati dal fare deflagrare. L'aula ha quindi dato il suo responso e le dichiarazioni di voto hanno dato plasticamente l'immagine di un Senato che ha assistito quasi sadicamente all'impatto della barchetta grillina mandata a sbattere contro la sua stessa intransigenza.

Il Movimento Cinque Stelle si tira fuori dalla votazione sulla fiducia al Governo

Le parole del capogruppo dei Cinque Stelle, Mariolina Castellone, che ha rivendicato la scelte del movimento, sono andate ben oltre la difesa della posizione, dicendo che sono solo e soltanto loro, i grillini, a vegliare sulle sorti del Paese contro l'irresponsabilità di chi non avverte la gravita della situazione. Ora, forse si pensa male, ma quel concetto di ''irresponsabilità'' messo nel discorso in cui si prendevano, apparentemente irreversibilmente, le distanze dal governo, sembrava diretto all'esecutivo e non ad altri.

Il movimento, quindi, ha deciso di fare quadrato intorno al suo leader, Giuseppe Conte, che, secondo alcune fonti giornalistiche, avrebbe incassato l'appoggio di Beppe Grillo, se questo possa mai significare qualcosa, visto l'ondivago procedere politico dell'Elevato.
Conte, parlando con i giornalisti, ha detto altre cose, certo non lievi, anche perché vengono non solo dal capo politico del Movimento, ma anche dal presidente del consiglio che ha ceduto il suo posto a Palazzo Chigi a Mario Draghi: ''Non chiediamo posti, nomine, nulla, ma chiediamo ovviamente di rispettare un programma definito all’inizio: transizione ecologica e urgenza della questione sociale che adesso è esplosa. O ci sono risposte vere, strutturali e importanti oppure nessuno può avere i nostri voti''.

Toni da ultimatum (non da ''penultimatum'' come Conte ci aveva abituato ad ascolatre da lui), non certo da chi vuole lasciare aperto uno spiraglio per una trattativa, perché, se si vuole un dialogo, in politica si fanno richieste, si lanciano proposte, ma non si pongono condizioni non trattabili. Ma questo è la linea che è prevalsa in seno ai Cinque Stelle, ostaggio di sé stessi più che delle loro convinzioni.
Tanto che oggi Giuseppe Conte ribalta sugli (ex) alleati la responsabilità di una decisione che è stata sua e della ristretta cerchia di consiglieri. Anche se lui continua a dire che la determinazione di rompere è conseguenza solo di scelte del governo in materia di transizione ecologica che non può accettare. Il riferimento è all'ormai celeberrimo termovalorizzatore di Roma, diventato ormai pietra dello scandalo. Anche se è difficile metabolizzare il fatto che quella del termovalorizzatore è stata una proposta dell'attuale sindacatura, mentre la precedente - a trazione grillina - sullo specifico problema dello smaltimento dei rifiuti della capitale non è che abbia brillato per iniziative.

Una posizione che sarebbe anche da rispettare, se non fosse che su altre questioni (Tav e Tap, solo per fare due esempi) i Cinque Stelle, pur partendo da granitiche certezze, hanno abbandonato per strada l'originaria intransigenza. Cosa può accadere, ora? Draghi, dopo avere riferito al presidente Mattarella, non ha profferito parola, perché la palla ora è nel campo del capo dello Stato, che si trova davanti ad una situazione apparentemente insanabile, ma nella consapevolezza che per il premier non ci può essere una maggioranza diversa da quello che sino a ieri lo sosteneva. Coerenza politica, ma anche la consapevolezza che rimescolare carte e alleanze non è cosa che gli appartiene. In questo sostenuto da Enrico Letta che non ha dato alternative: o si torna alla vecchia maggioranza o tutti a casa. Intanto, a dare credito a voce che sembrano non disinteressate, vengono fatte circolare delle ipotesi, che paiono fatte apposta per ingenerare ulteriore confusione.

Come quella di un ''ricorso'' ad una risorsa delle Istituzioni, Giuliano Amato, cui verrebbe affidato il compito di traghettare la legislatura sino alla scadenza naturale.
Una soluzione del genere avrebbe un immediato risvolto negativo (e forse non calcolato) per i Cinque Stelle che sperano forse di fare opposizione dura fino a marzo, ma che sarebbero depotenziati dalla nascita di un governo di scopo che, avendo un programma definito e minimo, non potrebbe certo essere messo nel mirino.
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