Cina: le aziende fintech in difficoltà tagliano migliaia di posti di lavoro
- di: Redazione
L'economia cinese che si basa sulla tecnologia digitale, negli ultimi anni è cresciuta impetuosamente, ma oggi si trova in una condizione che, sino a poche mesi fa, sarebbe apparsa irreale, quella di dovere ricorrere massicciamente all'arma dei licenziamenti per tenere le società in linea di galleggiamento. Spesso non si tratta di un licenziamento secco, ma i vertici delle società in Cina pongono ai dipendenti poche e ultimative alternative (interrompere subito il rapporto di lavoro o il trasferimento in città lontane da quella di residenza) che non lasciano alcuna scelta se non quella, imboccata già da più d'uno, di impugnare il, licenziamento davanti alla magistratura.
Cina: le aziende fintech tagliano migliaia di posti di lavoro
E di improvvise quanto traumatiche interruzioni del rapporto di lavoro ce ne sono state anche in settori di società che, apparentemente, erano in buona salute. Come sta accadendo a ByteDance, il gruppo proprietario dell'app TikTok, che sta effettuando licenziamenti nell'ambito di alcuni dei suoi reparti che sino a ieri apparivano tra i più produttivi. Alla base di questa evoluzione drammatica dei rapporti di lavoro in seno alle grandi società telematiche cinesi c'è la pressione di misure normative adottate dal Partito comunista, che intende perseguire velocemente il suo obiettivo di riequilibrare economicamente la società cinese. Già alla fine dello scorso anno i colossi digitali cinesi hanno tagliato massicciamente i posti di lavoro. In alcuni casi i licenziamenti sono stati numericamente impressionanti. Come confermato dalla dichiarazione dei vertici di New Oriental, uno dei leader nell'istruzione online, che ha rivelato, l'8 gennaio, di avere licenziato 60.000 dipendenti in appena sei mesi.
I licenziamenti sono diretta conseguenza dalla misura governativa che, obbligando le aziende dell'industria del tutoraggio - che in Cina aveva introiti elevatissimi - a diventare ''enti senza scopo di lucro'', ne ha sostanzialmente decretato la fine. New Oriental, uno dei pionieri del settore, ha perso il 90% del suo valore di borsa e il suo fatturato è diminuito dell'80%.
L'offensiva governativa nei confronti delle fintech, così come dei proprietari di piattaforma di vendita e consegna di cibo, è stata affidata alle autorità regolatrici, che hanno inflitto pesanti sanzioni a giganti come Alibaba e Meituan, accusati di posizione dominante. Nel luglio dello scorso anno nel mirino di Pechino è entrata Didi, leader cinese dei servizi auto con conducente, che, dopo una indagine, è stato costretto a uscire dalla Borsa di New York, appena cinque mesi dopo esservi entrata.
Il rallentamento dell'economia cinese non aiuta: dopo un rimbalzo nel 2020 grazie a un piano di ripresa post Covid e a un export dinamico, ha mostrato segni di stanchezza nel 2021. Pechino ha scelto la politica di ''tolleranza zero'' davanti alla pandemia. Questa decisione, se ha consentito di tutelare efficacemente la popolazione dall'espandersi dei contagi, si sta dimostrando sempre più costoso, per un quadro sanitario esposto al manifestarsi di nuove varianti del Covid-19.
I settori del turismo e della ristorazione sono i più colpiti, ma i consumi generali rallentano, con un aumento del 3,9% a novembre 2021, rispetto al 4,9% di ottobre. Soprattutto l'immobiliare cinese, che indirettamente fornisce quasi il 30% dell'attività, è in difficoltà, con prezzi in calo da settembre e diversi sviluppatori in difficoltà, come Evergrande. Anche in questo caso, sono le misure adottate da Pechino per cercare di regolamentare un settore sovraindebitato ad aver indebolito le imprese.