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C'era una volta il Pd

- di: Redazione
 
C'era una volta il Pd
Quando, abbastanza a sorpresa, Elly Schlein ha battuto Stefano Bonaccini nella corsa per insediarsi alla segreteria del Partito democratico, in molti, dentro e fuori dal Pd, si sono chiesti come questo ''papa straniero'' avrebbe impattato nella conduzione di una forza politica che, bene o male, è sempre stata importante per il Paese. 
Oggi, a distanza di mesi dall'ingresso nell'ufficio principale del Pd, Elly Schlein si trova davanti alla consapevolezza che era ben altro quel che ci si aspettava da lei. Perché lei, accreditata di una grande capacità di aggregazione, sia pure con il condizionamento di idee diverse sul futuro del partito, sembra avere fallito nel primo grande obiettivo che la sua segreteria doveva porsi: ricompattare tutte le componenti nel segno di un rinnovato impegno a favore del Paese.

C'era una volta il Pd

Così non è stato perché, da segretaria, Schlein sembra avere acuito le divisioni interne, soprattutto perché dà l'impressione di non avere colto che le diversità in seno al partito avrebbero dovuto essere una risorsa e non invece, come apparso evidente sin dalla composizione della segreteria, una discriminante tra chi doveva salire nella scala gerarchica e chi, di contro, non poteva trovarvi posto.
Piuttosto che tentare di aggregare, la segretaria ha ceduto alla seduzione di esercitare il comando per il comando, ritenendo di potere piegare una macchina complessa, come quella del Partito democratico, a colpi di decisioni non trattabili, che certo non potevano soddisfare tutti, ma almeno non necessariamente avrebbero dovuto inimicarsi, per come accaduto, larghi strati del Pd.
Invece non è stato così e il nervosismo che serpeggia nella componente riformista si palesa sempre più di frequente. Come è accaduto anche nelle scorse ore, quando da Schlein ci si sarebbe aspettata una risposta ben più dura di quella che ha avuto nei confronti di Giuseppe Conte, che ha fatto la voce grossa, lanciando un ukase nei confronti del Pd, trattato alla stregua di un portatore d'acqua e non invece della componente politica di maggiore peso dell'opposizione.
In altri tempi e con altri segretari, la sortita di Conte (che di fatto ha definito il Pd ad un coacervo di interessi sporchi e nulla di più) sarebbe stata non solo rimandata al mittente, come accaduto, ma respinta con grande durezza, tagliando ogni contatto con un movimento che giudica gli altri, ponendo condizioni che, se accettate, sarebbero l'ammissione di un Partito democratico ostaggio di una banda di malfattori.
Ma forse questo non è il peggiore errore, perché ben più grande è stata la promessa di Schlein, sotto lo schiaffo di Conte, di imporre ai democratici un codice etico, come se non bastasse quello penale; come se il voto di scambio, il traffico di influenze, la corruzione o, peggio, l'estorsione non fossero codificati come reato e puniti. 
Dire che oggi il Pd si deve dare un insieme di regole, che altro non sono che il semplice rispetto delle leggi, è ammettere che sino ad oggi non è stato fatto o, almeno, che qualcuno o molti hanno pensato alla politica come semplice strumento di arricchimento personale. 
E ancora non è esploso il bubbone delle candidature alle europee, un problema che per Elly Schlein rischia di essere la classica mina, però non vagante, su cui prima o poi dovrà poggiare il piede.
Per fortuna del Pd alcune delle indicazioni che sembravano stare a cuore alla segretaria sono rientrate o sono oggetto di una ulteriore valutazione, visto lo sconcerto che esse hanno causato. Da qui a qualche giorno questo nodo dovrà essere sciolto, con la segretaria dem chiamata a scelte che, quali che saranno, le creeranno solo problemi. 
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