La reazione del ministro ortosso estremista alla decisione del Belgio di riconoscere lo Stato palestinese alle Nazioni Unite. Hebron: arrestato sindaco nuovi raid su Gaza.
A Bruxelles il Belgio decide di riconoscere lo Stato palestinese alle Nazioni Unite. A Gerusalemme, il ministro estremista Itamar Ben-Gvir reagisce con una frase che suona come una minaccia: “Gli europei che si arrendono alle manipolazioni di Hamas proveranno il terrorismo in prima persona”. È il linguaggio dell’ultradestra israeliana, spigoloso, pensato per spaventare e polarizzare.
Il raid a Hebron
Mentre il ministro parla, i soldati entrano a Hebron. Arrestano il sindaco, Tayseer Abu Sneina, nella sua casa. La città si sveglia con un coprifuoco imposto dall’esercito. Hebron è una delle città più delicate della Cisgiordania: quartieri palestinesi circondati da colonie israeliane, tensioni quotidiane, una storia di violenza che basta un gesto per riaccendere. L’arresto del sindaco ha un valore politico: non è un combattente, è una figura istituzionale.
Le bombe su Gaza
A Gaza, all’alba, i raid israeliani hanno già fatto almeno 40 morti. Il numero cresce di ora in ora. Le esplosioni colpiscono anche aree civili. Negli ospedali non c’è più spazio: i corridoi diventano improvvisati reparti, i generatori lavorano senza sosta perché la corrente elettrica arriva a intermittenza. Mancano farmaci, mancano anestetici, mancano posti letto.
Il fronte europeo
Le parole di Ben-Gvir arrivano in un momento in cui l’Europa discute se riconoscere la Palestina o meno. Il Belgio ha detto sì, altri governi pensano di seguirlo. Per Israele questo significa legittimare Hamas, per Bruxelles è il tentativo di rilanciare la prospettiva dei due Stati. Ma la minaccia di Ben-Gvir — “sperimenterete il terrore” — è un avvertimento diretto a quei Paesi che guardano alla causa palestinese con simpatia.
Politica interna, messaggi esterni
Ben-Gvir non parla solo all’Europa. Il suo pubblico principale è interno. Le frasi dure gli servono per rafforzare la base, per presentarsi come il guardiano inflessibile della sicurezza israeliana. È la stessa logica che porta al coprifuoco di Hebron o ai bombardamenti a Gaza: dimostrare che lo Stato non arretra, che risponde con forza.
Una spirale senza fine
La conseguenza è una spirale. Ogni raid a Gaza provoca nuove tensioni, ogni arresto in Cisgiordania alimenta la rabbia, ogni dichiarazione incendiaria riduce gli spazi di dialogo. A Gaza la popolazione civile continua a pagare il prezzo più alto. In Europa i governi si dividono: chi spinge per il riconoscimento della Palestina, chi teme di compromettere i rapporti con Israele.
Una crisi congelata
Il risultato è un quadro che sembra senza sbocco. Israele intensifica le operazioni, i palestinesi denunciano violazioni dei diritti umani, l’Europa resta spaccata. L’arresto del sindaco di Hebron e i morti di Gaza diventano i simboli di un conflitto che brucia ogni giorno di più, mentre le parole di Ben-Gvir mostrano la distanza crescente tra Tel Aviv e Bruxelles.