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Bce, Schnabel alza l’asticella sui tassi e scalda il dopo Lagarde

- di: Matteo Borrelli
 
Bce, Schnabel alza l’asticella sui tassi e scalda il dopo Lagarde
Bce, Schnabel alza l’asticella sui tassi e scalda il dopo Lagarde
La falca tedesca si dice «pronta» a succedere a Lagarde e promuove l’ipotesi di un rialzo come prossima mossa. Rehn, Villeroy e Macron spingono per flessibilità, crescita e nuovo mandato.

(Foto: Isabel Schnabel, membro tedesco del comitato esecutivo della Banca centrale europea).

Schnabel detta il tono: tassi fermi, ma la prossima mossa è verso l’alto

Isabel Schnabel, membro tedesco del comitato esecutivo della Banca centrale europea, ha scelto di non restare sul vago. In un’intervista a Bloomberg, rilanciata dalle principali agenzie internazionali, ha spiegato di sentirsi «piuttosto a suo agio» con l’idea che la prossima mossa sui tassi sia un rialzo, non un taglio, pur chiarendo che non si tratta di una decisione imminente.

Dopo i 2 punti percentuali di tagli cumulati da giugno 2025, il tasso di riferimento è fermo al 2% e, nelle parole di Schnabel, si trova in una posizione «assolutamente» adeguata: la banca centrale non ha fretta di muoversi di nuovo. La novità, però, è un’altra: a suo giudizio, la distribuzione dei rischi sull’inflazione si è spostata «un po’ verso l’alto», complice un ciclo economico europeo più resistente del previsto e una domanda interna ancora solida.

Il messaggio è netto: piccole deviazioni dal 2% non la spaventano, ma non vede il rischio di un lungo periodo di inflazione troppo bassa. Se necessario, quindi, l’aggiustamento non sarebbe per allentare – ma per stringere di nuovo.

A rendere il tutto ancora più politico c’è un passaggio che pesa come un sasso sul tavolo del Consiglio: Schnabel ha dichiarato di essere «pronta a guidare la Bce se le venisse chiesto». È una candidatura in piena regola per il dopo Christine Lagarde, il cui mandato si avvicina alla fase finale.

La scossa ai mercati: rendimenti in rialzo e tagli azzerati nel 2026

Le parole della falca tedesca non sono rimaste teoria. Nel giro di poche ore, i mercati hanno reagito con forza: i rendimenti dei governativi dell’area euro sono schizzati verso l’alto e gli operatori hanno cancellato dai prezzi l’ipotesi di un taglio dei tassi nel 2026.

Secondo i dati dei money market, già alla chiusura di lunedì gli scambi indicavano probabilità praticamente nulla di una riduzione dei tassi entro metà 2026, laddove solo pochi giorni prima una mossa al ribasso era ancora messa in conto. Un’analisi Reuters sui future ha quantificato il colpo di freno: lo scenario di almeno un taglio entro luglio è stato di fatto spazzato via.

Sul fronte dei bond, il movimento è stato evidente: il Bund decennale è risalito fin quasi al 2,9%, massimo da mesi, mentre il trentennale tedesco ha superato la soglia del 3,4%, livelli che non si vedevano dal 2011. Anche il biennale – il segmento più sensibile alle aspettative sui tassi – si è mosso al rialzo, segnalando che il mercato ha recepito il messaggio: un nuovo ribasso del costo del denaro non è più lo scenario centrale.

Non si tratta solo di Bce. Mentre a Francoforte si parla di «steady hand», a Washington i trader scommettono quasi all’unisono su un taglio dei tassi della Fed il 10 dicembre, con probabilità attorno al 90% secondo il FedWatch. Il confronto è brutale: America in modalità “hawkish cut”, Europa in modalità «tassi fermi, ma pronti a salire».

Le colombe al contrattacco: Rehn vede rischi di inflazione al ribasso

Se Schnabel sposta l’asse verso i falchi, Olli Rehn, governatore finlandese e candidato alla vicepresidenza della Bce, lavora nella direzione opposta. In un’intervista a Milano Finanza – poi ripresa da Bloomberg e Reuters – ha sottolineato che, nel medio periodo, i rischi sull’inflazione sono “leggermente orientati al ribasso”.

Il ragionamento di Rehn è lineare: inflazione scesa dal picco del 10,6% del 2022 a valori vicini al 2%, prezzi dell’energia relativamente contenuti, euro più forte e segnali di raffreddamento nei salari e nei servizi. In questo scenario, non teme un nuovo surriscaldamento dei prezzi, ma piuttosto una dinamica che potrebbe scivolare sotto target.

Da qui la sua insistenza sulla formula resa famosa da Christine Lagarde: la politica monetaria è in una posizione «buona, ma non fissa». Rehn lo ribadisce quasi sillabando le parole «non fissa»: per lui la Bce deve restare pienamente aperta sia a nuovi rialzi sia – soprattutto – a nuovi tagli, qualora i dati lo imponessero.

Non a caso, il governatore di Helsinki richiama spesso il carattere simmetrico dell’obiettivo di inflazione: deviazioni durature sotto il 2% sono altrettanto indesiderabili di quelle sopra. E avverte contro l’idea di innalzare “barre” o “pavimenti” che di fatto renderebbero più difficile decidere un allentamento in futuro: per lui la politica monetaria non può andare «con il pilota automatico».

Sullo sfondo c’è la sua stessa corsa alla vicepresidenza della Bce e il ruolo di primo piano che rivendica nel dibattito sul futuro uso degli asset russi congelati a sostegno dell’Ucraina, tema su cui invita i governi a muoversi con decisione a livello Ue, senza coinvolgere direttamente l’Eurotower.

Villeroy, il francese che difende la «piena optionalità»

La terza gamba del triangolo interno alla Bce è François Villeroy de Galhau, governatore della Banque de France. In un recente intervento a Parigi ha ripetuto che la politica monetaria è in una «buona posizione, ma né confortevole né fissa», facendo eco – e allo stesso tempo correggendo – la narrativa dominante a Francoforte.

Villeroy insiste su due punti chiari. Primo: il target del 2% è pienamente simmetrico. Secondo: anche piccole ma persistenti deviazioni, verso l’alto o verso il basso, possono disancorare le aspettative e vanno quindi affrontate. Da qui la sua richiesta di mantenere «piena optionalità» per il Consiglio direttivo, senza escludere alcuna opzione – né tagli né rialzi.

In sostanza, il governatore francese rifiuta l’idea – cara a Schnabel – che l’«asticella» per modificare i tassi si sia alzata. Per lui, la soglia non deve essere più alta per un taglio che per un rialzo. La differenza va fatta dai dati, non da regole implicite che finirebbero per irrigidire la reazione della banca centrale.

Macron all’assalto del mandato Bce: non solo inflazione

Mentre dentro l’Eurotower si litiga su quanto essere falchi o colombe, dall’Eliseo arriva una pressione ancora più dirompente. Il presidente francese Emmanuel Macron ha rilanciato, in un’intervista alla stampa economica francese, la proposta di allargare il mandato della Bce.

La frase chiave è semplice e spiazzante: «Non possiamo avere una politica monetaria che abbia come unico obiettivo l’inflazione». Macron chiede di includere esplicitamente nei compiti della banca centrale anche crescita e occupazione, avvicinando l’Europa al modello della Fed e, in alcune sue versioni, aggiungendo persino un obiettivo climatico o di decarbonizzazione.

Non è la prima volta che il presidente francese solleva il tema, ma il tempismo conta: lo fa mentre la Bce è al centro delle critiche per una crescita dell’area euro ancora modesta e in un momento in cui il debito pubblico francese è sorvegliato speciale dalle agenzie di rating. Il messaggio, tradotto in termini politici, è chiaro: Parigi non accetta una banca centrale concentrata solo sul “2%” se il prezzo da pagare è stagnazione e disoccupazione.

Da Francoforte la risposta ufficiale resta glaciale: il mandato è definito dai Trattati e non spetta alla Bce riscriverlo. Ma la discussione è ormai aperta e, inevitabilmente, si intreccia con la scelta del prossimo presidente dell’istituzione.

Inflazione, crescita e tassi: il quadro macro che divide i falchi

Sullo sfondo di questo scontro di visioni c’è un dato di fatto: l’inflazione dell’area euro è tornata molto vicina al 2%. A novembre i prezzi al consumo si sono attestati attorno al 2,2%, poco sopra il target, dopo mesi di stabilizzazione su livelli considerati «coerenti» con l’obiettivo della Bce.

Le previsioni ufficiali dell’Eurotower, aggiornate a settembre, indicavano un’inflazione poco sopra il 2% nel 2025, destinata a scendere verso l’1,7–1,9% nel 2026–2027. Proprio su queste traiettorie si innesta oggi il confronto: Schnabel vede rischi che i dati futuri possano sorprendere al rialzo, complici salari ancora robusti, investimenti pubblici e la possibile risalita del tasso naturale (favorita, nelle sue analisi, anche dall’innovazione legata all’IA). Altri, come Rehn e Villeroy, temono invece che un euro forte, le importazioni a basso costo e il rallentamento dei salari spingano l’inflazione leggermente sotto obiettivo nei prossimi anni.

Intanto, l’economia reale manda segnali misti. Alcuni indicatori anticipatori – come i PMI compositi – sono risaliti sopra quota 50, indicando espansione, mentre la crescita del Pil resta modesta e spezzettata tra Paesi. La Germania intravede un po’ di luce con la spinta degli investimenti in difesa e infrastrutture, la Francia continua a fare i conti con tensioni politiche e bilancio sotto pressione.

Dentro la Bce, altri falchi come Peter Kazimir sottolineano i rischi al rialzo – salari che rallentano meno del previsto, mercato del lavoro ancora tirato – e mettono in guardia dall’idea di reagire a ogni minimo scostamento dell’inflazione, sia sopra sia sotto il 2%. Altri, come il tedesco Joachim Nagel, parlano di inflazione “quasi perfettamente in linea” con il target, suggerendo di non farsi prendere dal panico per movimenti di pochi decimi di punto.

La partita del dopo Lagarde: perché le parole di oggi contano già domani

Tutto questo dibattito non è solo accademico. La Bce sta entrando nella fase in cui si definiranno gli equilibri per il dopo Lagarde. La disponibilità esplicita di Schnabel a «farsi carico» della guida della banca centrale la proietta in prima fila, forte dell’appoggio potenziale dei Paesi del Nord e di una reputazione consolidata come voce rigorosa ma non ideologica.

In parallelo, la Francia non rinuncerà facilmente a un ruolo di vertice, soprattutto se Macron continuerà a spingere per un mandato più “politico” dell’Eurotower. È plausibile che Parigi cerchi almeno di blindare la vicepresidenza – con un profilo più vicino alle posizioni di Rehn o Villeroy – se non addirittura di negoziare un’altra figura alla presidenza con un approccio meno falco sui tassi e più sensibile a crescita e occupazione.

Per i mercati, il messaggio è inequivocabile: la politica monetaria dell’area euro non è affatto cristallizzata. Nel breve, la traiettoria dei tassi dipenderà dai dati su inflazione, salari e crescita. Nel medio periodo, però, sarà la combinazione di scelte politiche europee e nomi ai vertici della Bce a definire se prevarrà la linea Schnabel – tassi “in una buona posizione” ma pronti a salire – o la linea Rehn/Villeroy – tassi pronti a scendere di nuovo se l’inflazione dovesse scivolare sotto il 2%.

Di certo, la partita è ufficialmente aperta. E, con Schnabel ormai in campo a viso aperto, il dopo Lagarde ha smesso di essere un tema da addetti ai lavori per trasformarsi in uno dei dossier chiave che condizioneranno euro, spread e crescita europea nei prossimi anni.

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