L’offensiva terrestre su Gaza City riapre il dossier ostaggi: Hamas ne tratterrebbe 48, famiglie in rivolta a Gerusalemme. Doha accusa: “Con il raid avete ucciso la trattativa”. L’ICRC: “Liberateli subito”.
Il punto di svolta nella notte
Nella notte tra lunedì 15 e martedì 16 settembre l’IDF ha avviato la fase terrestre per “occupare Gaza City”, con colonne corazzate e incursioni supportate da bombardamenti intensi. L’invasione è esplosa a tarda notte, tra esplosioni a catena e palazzi abbattuti, mentre le dirette da Gaza riportavano ore di fuoco e soccorsi difficili.
Il nodo ostaggi: numeri, luoghi, rischi immediati
Al centro del dilemma strategico stanno gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas. Le stime convergono su 48 persone trattenute a Gaza. Nelle ore precedenti all’ingresso via terra è circolata una ricostruzione cruciale: una parte degli ostaggi sarebbe stata spostata “sopra il livello del suolo”, in tende e abitazioni a Gaza City, per complicare le manovre dell’IDF. Se confermato, il rischio operativo e umanitario cresce: urbanizzazione estrema, prossimità ai combattimenti, margini minimi per azioni chirurgiche.
Familiari come Anat Angrest, madre di Matan, hanno denunciato di sapere che i propri cari si trovano nell’area sotto attacco. “Non lascerò che questa sia la sua ultima notte”, ha scritto, mentre decine di famiglie hanno manifestato davanti alla residenza del premier a Gerusalemme.
Sullo sfondo, il conteggio dal 7 ottobre resta un promemoria tragico: ostaggi tornati vivi e salme repatriate tengono inchiodata l’urgenza politica, militare e umanitaria della variabile ostaggi proprio mentre riparte la manovra terrestre.
“Scudi umani” e zona grigia informativa
Nelle ultime ore si sono moltiplicate le accuse sull’uso di civili e ostaggi come “scudi umani”. Una madre israeliana ha detto: “Oggi so che mio figlio è uno scudo umano. È il fondo del barile”. Sono stime non verificabili in modo indipendente, ma la loro circolazione nell’ecosistema informativo alimenta la pressione domestica contro l’operazione via terra.
L’ICRC (Comitato Internazionale della Croce Rossa) è categorico: “La presa di ostaggi è proibita dal diritto internazionale umanitario” e “chiediamo l’accesso” alle persone sequestrate, per cure e ricongiungimenti. Messaggi destinati a pesare mentre l’offensiva entra fra case, scuole e ospedali.
Politica e diplomazia: il vaso di Doha
Il dossier ostaggi si intreccia con un’altra faglia: il raid su Doha del 9 settembre contro la leadership di Hamas. Per il premier del Qatar, l’operazione ha “ucciso ogni speranza” di accordo sugli ostaggi. Le capitali regionali hanno chiesto a Washington di frenare Israele e denunciato l’attacco su territorio del mediatore, mentre a Gerusalemme è stato ribadito che il riconoscimento internazionale di uno Stato palestinese “in questo momento” renderebbe più difficile chiudere la guerra.
La scelta di Netanyahu, la pressione degli apparati
Fonti di sicurezza israeliane avevano sconsigliato l’operazione via terra per l’alto costo umano e strategico, ma il governo ha deciso di procedere comunque. È il cuore della contesa interna: la sicurezza degli ostaggi, l’usura dell’opinione pubblica, l’equilibrio con Washington. Intanto, i parenti presidiano Gerusalemme. I cartelli davanti alla residenza del premier recitano: “Scegliete: o l’operazione o i nostri figli”. L’immagine rimbalza nelle stesse ore in cui i canali palestinesi mostrano crolli nel cuore di Gaza City.
Cosa sappiamo (e cosa no) sugli ostaggi
Quanti sono? Le stime aggiornate indicano 48 ostaggi in mano a Hamas e ad altri gruppi a Gaza. Quanti sono vivi? Le valutazioni più pessimistiche parlano di “circa 20” vivi, ma si tratta di informazioni non verificabili in modo indipendente. Dove sono? L’indicazione più citata nelle ultime 24 ore è che una parte sarebbe “sopra il suolo” a Gaza City, spostati per scoraggiare o ritardare l’ingresso dei reparti corazzati. Quali canali di negoziato restano? Dopo Doha, il corridoio qatariota è ferito ma non chiuso: si era lavorato a un accordo “tutti per tutti”, ma l’attacco di settembre ha fatto deragliare il calendario.
Diritto umanitario: linee rosse e responsabilità
La Croce Rossa invoca accesso immediato agli ostaggi e ricorda che esibirli pubblicamente, umiliarli o utilizzarli come deterrenza è vietato dalle Convenzioni di Ginevra. Per l’IDF, la sfida è conciliare obiettivi militari e protezione di civili e ostaggi in un teatro urbano iper-denso. Ogni colpo che si avvicina agli ostaggi è un boomerang politico; ogni esitazione, una falla operativa. La sproporzione tra obiettivi dichiarati e rischi umanitari è il terreno su cui si misurerà la responsabilità delle parti.
Scenari prossimi: tre strade e un paradosso
1) Spinta militare rapida: se l’IDF sfonda rapidamente i nodi di comando, il prezzo in vite potrebbe crescere e i canali per il rilascio residuo contrarsi a zero.
2) Serrata negoziale: la diplomazia del “day after Doha” potrebbe riaprirsi se Washington imponesse una sequenza chiara ostaggi–cessate il fuoco. Il GCC ha messo in mora la pazienza, ma ha bisogno di un mediatore accettabile alle parti.
3) Guerra d’attrito urbana: la più probabile, con ostaggi “sparsi” e usati come leva: settimane di sfinimento, rischio massimo per i sequestrati, e una crisi regionale ancora più profonda.
Il paradosso è evidente: l’operazione terrestre nasce per “distruggere Hamas”, ma ogni giorno senza accordo sugli ostaggi rafforza la leva politica e psicologica dei rapitori. È già accaduto: gli scambi del 2023 e del 2025 hanno fatto scuola; oggi la finestra si restringe.
Le frasi da ricordare
“L’IDF ha lanciato un’offensiva via terra per occupare Gaza City” — dichiarazione raccolta il 16 settembre 2025.
“Non lascerò che questa sia la sua ultima notte” — Anat Angrest, madre di un ostaggio, Gerusalemme, 16 settembre 2025.
“La presa di ostaggi è proibita dal diritto internazionale umanitario” — ICRC, 5 settembre 2025.
“Avete ucciso ogni speranza di rilascio” — Primo ministro del Qatar, 12 settembre 2025.
Una scelta politica, non solo militare
Israele ha scelto di forzare su Gaza City nonostante il vincolo ostaggi e i caveat dei propri apparati di sicurezza. Hamas ha scelto di massimizzare la protezione militare usando la variabile umana come scudo e moneta di scambio. Gli Stati Uniti oscillano tra sostegno operativo e gestione dell’incendio diplomatico dopo Doha; il Golfo alza la voce ma attende un corridoio praticabile. In mezzo, 48 vite che non sono statistiche ma linee rosse morali: senza un canale negoziale credibile, l’offensiva rischia di trasformarle in un conto irrevocabile. Sarebbe una sconfitta che nessun “successo tattico” può compensare.