Nei primi sei mesi del 2025 i Paesi Ue+ (Stati membri, più Svizzera e Norvegia) hanno registrato 399 mila domande di asilo, il 23% in meno rispetto allo stesso periodo del 2024. Per l’Italia il calo è stato del 25%, con 64 mila richieste complessive. Dati che, oltre a ridisegnare la geografia dell’asilo in Europa, incidono direttamente sulle spese pubbliche: meno richieste significa alleggerimento temporaneo dei sistemi di accoglienza, ma non riduce le pressioni strutturali legate a gestione, integrazione e redistribuzione.
Asilo, domande in calo del 25% in Italia. Francia e Spagna superano la Germania
Il crollo delle domande siriane è il fattore che più ha influenzato il quadro. A seguito della caduta del regime di Bashar al-Assad lo scorso dicembre, le richieste di protezione da parte dei cittadini siriani si sono fermate a 25 mila nel semestre, con una flessione del 66%. Per un decennio i siriani avevano rappresentato la nazionalità più numerosa, modellando politiche e risorse europee. Oggi a guidare le statistiche ci sono i venezuelani: 49 mila richieste (+31% annuo). Questo spostamento di flussi porta con sé nuove implicazioni economiche. La concentrazione in Spagna – dove si è diretto il 93% dei venezuelani – significa che Madrid dovrà sostenere da sola la gran parte dei costi di accoglienza e dei programmi di inserimento, con conseguenze sui bilanci nazionali e sul dibattito interno.
Francia e Spagna davanti a Berlino
Per la prima volta, Francia e Spagna superano la Germania. Parigi ha raccolto 78 mila richieste, Madrid 77 mila, contro le 70 mila di Berlino. L’Italia, con 64 mila, rimane quarta. La Grecia, pur fermandosi a 27 mila, ha il primato pro capite: una domanda ogni 380 residenti. Sono dati che vanno letti anche in chiave di spesa pubblica. Ogni domanda comporta costi amministrativi, legali e sociali. L’aumento di domande in Francia e Spagna sposta dunque il baricentro dei flussi finanziari, ridefinendo le priorità di bilancio dei singoli Paesi e sollevando la questione di nuovi strumenti di solidarietà economica a livello Ue.
Il nodo del tasso di riconoscimento
Il tasso medio di riconoscimento nell’Ue+ si è attestato al 25%, il livello più basso mai registrato. Ciò significa che tre domande su quattro non portano a un permesso di protezione. Ma anche le pratiche respinte hanno un costo: la loro gestione impegna personale, strutture di accoglienza e fondi pubblici. Per i bilanci nazionali si tratta di spese a fondo perduto, che incidono sulla sostenibilità dei sistemi di welfare. Per l’Italia, dove i centri di accoglienza restano sotto pressione, la riduzione del 25% delle domande non ha tradotto automaticamente in un risparmio proporzionale, ma ha solo attenuato la curva della spesa.
Mercato del lavoro e integrazione
Il mutamento nelle nazionalità dei richiedenti influisce anche sull’inserimento economico. I venezuelani, concentrati in Spagna, mostrano tassi di integrazione rapidi grazie alla lingua e a comunità già insediate. Gli ucraini (16 mila richieste, +29%) si concentrano soprattutto in Francia e Polonia, Paesi che già ospitano milioni di beneficiari di protezione temporanea. Diverso il caso italiano: gran parte delle richieste proviene da Corno d’Africa e Asia meridionale, con percorsi di inserimento più complessi, che richiedono investimenti in formazione linguistica, qualifiche professionali e programmi di integrazione. Tempi lunghi che si riflettono in maggiori costi per lo Stato e minore immediatezza di ritorno sul mercato del lavoro.
Il dossier visti e i costi futuri
Un quarto delle richieste di asilo è stato presentato da cittadini che possono entrare nell’area Schengen senza visto, soprattutto venezuelani e colombiani. Il Parlamento europeo voterà a breve un meccanismo di sospensione più flessibile della liberalizzazione dei visti. La misura non è solo politica: una variazione delle regole potrebbe incidere direttamente sui bilanci, riducendo o amplificando i costi a seconda delle rotte scelte dai richiedenti. Ogni decisione si traduce in proiezioni di spesa per i singoli Stati membri.
L’Italia tra Mediterraneo e Bruxelles
Per l’Italia il calo delle richieste è un dato positivo nell’immediato, ma non sufficiente. Il Paese resta in prima linea sulla rotta del Mediterraneo centrale: arrivi costanti, ma con un numero inferiore di formalizzazioni di domande. Questo significa che la pressione sul sistema di primo soccorso e accoglienza rimane elevata, mentre i costi di medio periodo dipendono dalle decisioni europee in materia di redistribuzione e solidarietà finanziaria. Il dibattito sulla riforma del Patto per la migrazione e l’asilo resta quindi cruciale anche in chiave economica.
Un rebus di sostenibilità
Il quadro delineato dall’EUAA non è solo statistico ma anche contabile. Meno richieste non equivalgono a meno spesa: l’eterogeneità dei flussi, le sospensioni procedurali e i bassi tassi di riconoscimento complicano la programmazione di bilancio. Con la Francia e la Spagna oggi in prima fila, la Germania in arretramento e l’Italia che resta in equilibrio precario, l’Europa deve affrontare un rebus: come garantire sostenibilità economica e coesione politica davanti a un fenomeno in continua trasformazione.