Storie incompiute: un progetto di Marina Paris alla Galleria Gilda Lavia

- di: Samantha De Martin
 

FOTO: Marina Paris, Storie incompiute alla Galleria Gilda Lavia di Roma

L’incompiuto nell’architettura diventa ricerca e bellezza da riscoprire attraverso la fotografia. Accade grazie a un progetto intitolato Storie incompiute, in programma dal 29 maggio al 21 settembre presso la Galleria Gilda Lavia di Roma.

Storie incompiute: un progetto di Marina Paris alla Galleria Gilda Lavia

La personale di Marina Paris, a cura di Valentina Ciarallo, si concentra sul tema dell’incompiuto rendendo omaggio, attraverso una serie di scatti inediti, all’architettura di Luigi Moretti, l’architetto romano (1907-1973), la cui capacità progettuale e intellettuale era volta a immaginare la struttura come forma, attraverso l’analisi delle relazioni spaziali.

Da sempre interessata all’architettura, intesa come sistema di relazione tra uomo e ambiente, e la cui presenza invade quasi tutte le sue opere, l’artista di Sassoferrato esprime la sua ricerca attraverso diversi mezzi, dalla video animazione al disegno, dalla fotografia alle installazioni site-specific.

Paris ha realizzato per la mostra un’installazione ambientale tra coni di luci e fenditure di ombre, scandita da un sottofondo sonoro progettato dalla stessa artista, per accompagnare il visitatore alla scoperta di spazi irreali ma vivi, tra composizioni architettoniche che potrebbero essere state ma non lo sono, a contatto con luoghi che non sono luoghi.

“Storie incompiute - spiega la curatrice Valentina Ciarallo - è una rilettura inedita testimoniata dal mezzo fotografico che per Paris diviene ricerca e non compimento, esprimibile nella certezza di un non finito che nel caso di Moretti e nella sua incompletezza trova la bellezza del compiuto”.

L’artista si serve del mezzo fotografico per interpretare come modulabile e modificabile la costruzione di uno spazio che è luogo di accadimenti e di sedimentazione del tempo tra uomo e ambiente, metafisica dell’orizzonte intesa come dimensione antropologica per indagare l’esistenza umana.

A ispirare Storie incompiute è Il monte Analogo, l’ultimo libro del poeta e scrittore francese René Daumal (1908-1944), pubblicato postumo nel 1952. Rimasto incompiuto per l’improvvisa morte dell’autore, il romanzo è l’allegoria di un viaggio spirituale e assoluto dell’uomo. Il lettore è trasportato nel regno dell’analogia, dove nulla è vero, ma tutto è verità, alla ricerca di qualcosa di irraggiungibile, marcato nel racconto da una virgola prima del nulla, dove la narrazione si interrompe.

Proprio quella virgola che porta a sviluppare un immaginario inedito è il preludio metaforico con cui la Paris rappresenta qualcosa che non esiste ma che potrebbe essere, uno spunto per meditare sulla dimensione storica e temporale di un non-finito.

D’altra parte se si ripercorre la storia, sono numerose le opere rimaste incompiute nel campo musicale, da Bach a Schubert, in quello della storia dell’arte, da Michelangelo a Cézanne, nella letteratura da Kafka a Pasolini.

Anche in campo architettonico esistono alcuni progetti rimasti sulla carta per una serie di contrattempi indefiniti. L'assenza di una conclusione definitiva lascia spazio all'immaginazione portando a riflessioni su ciò che sarebbe potuto essere se l'opera fosse stata completata.

Tutto ha inizio nel 2019 quando Marina Paris inizia a fotografare e documentare una serie di maquette all’interno dell’Archivio Centrale dello Stato a Roma, riguardanti alcune figure di rilievo dell’architettura italiana che hanno operato dagli anni Trenta agli anni Sessanta. L’artista si sofferma in particolare sui progetti di Moretti, specie su quelle idee irrealizzate, come l’ampliamento architettonico dell’Accademia Nazionale di Danza a Roma (1955) che sarebbe dovuto sorgere nel quartiere di San Saba. L’artista rende vivo il luogo in formato gigante attraverso un doppio scatto prospettico, enfatizzando i neri delle ombre e i bianchi della luce e trasportando il punto di osservazione su qualcosa dove “niente è vero ma tutto è veridico”, come lo stesso Daumal scriveva. Le immagini macro, alternate a quelle micro, scandite da un effetto sonoro, invitano lo spettatore a intuire l’esistenza di uno spazio altro, in divenire, tra il vero e il verosimile, tra la progettualità del pensiero e la potenzialità dell’incompletezza come luogo etereo capace di raccontare nuove storie.

Un altro prototipo fotografato dalla Paris è quello per un nuovo stadio di nuoto a Roma (1960). C’è anche la moderna palazzina razionalista “Il Girasole”, finalizzata nel 1947-1950 in Viale Bruno Buozzi a Roma, chiamata così per la sua capacità di carpire la luce. L’artista usa la luce in maniera pittorica per entrare negli interni con inquadrature apparentemente immobili e cristallizzate, forme destinate ad essere relativamente reali.

Moretti realizza gli edifici della ex-sede della Esso e Sgi all’Eur (1962), detti anche “edifici gemelli”, lavorando sulla monumentalità dell’ingresso e richiamando l’idea di maestosità immaginata da Marcello Piacentini nel 1937 per il quartiere. In questo caso la fotografia gioca su fasci di luce che rimarcano orizzontalmente le linee dei volumi.

Tra il 1963 e il 1969 l’architetto progetta il Complesso Termale della Fonte Bonifacio VIII a Fiuggi, frutto di una sintesi armonica tra il castagneto circostante e le linee curve della struttura. La tettoia a forma di trapezio ricorda una tenda araba e gli scatti fotografici ne documentano la leggiadria e modularità.

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