L’indagine “Truth about doctors” condotta a livello mondiale dal gruppo McCann (attraverso i suoi rami Truth Central e Health), mostra il quadro attuale della professione medica in 16 paesi, inclusa l’Italia, esplorando il rapporto dei medici con la loro professione alla luce degli enormi cambiamenti sociali e tecnologici occorsi negli ultimi decenni. Dall’indagine emerge un’alta percentuale di stress tra i medici, dovuta a pressioni burocratiche, linee guida non sempre chiare e talvolta in contrasto tra loro e pazienti consapevoli dei loro diritti sempre più agguerriti, per cui il medico sembra costretto a ricorrere alla medicina difensiva come strumento di tutela. Secondo la ricerca McCann, i medici sono stati relegati da una buona parte della collettività a mero ruolo degli “uomini che prescrivono”. E dall’indagine emerge che, se all’inizio della carriera l’empatia rivestiva per loro un ruolo importante, con il passare degli anni è subentrato invece il distacco.
Ne abbiamo parlato con il Professor Antonio Magi nuovo Presidente dell’Ordine provinciale di Roma dei Medici-Chirurghi e Odontoiatri.
Professor Magi, da questa indagine condotta su ben 16 paesi, tra cui l’Italia, emerge la figura possiamo dire ”globale” di un medico abbastanza disilluso, depresso, insicuro, Lei che cosa ne pensa?
«Il medico di una volta era il punto di riferimento della famiglia, era rispettato, considerato, seguiva l’intera famiglia dall’inizio, entrava in stretto contatto con ogni membro, di cui era unico punto di riferimento, consigliere, una figura importante, l’unica da cui ricevere informazioni. Quando il medico arrivava in casa era un evento importante e si faceva trovare tutto in ordine, gli asciugamani “buoni” in bagno, perché se ne avesse avuto bisogno doveva essere tutto perfetto. Del resto il medico aveva un numero equilibrato di pazienti da seguire e li seguiva con i tempi e i modi adeguati, poi certamente questi equilibri si sono stravolti. La crisi ha portato il Servizio Sanitario Nazionale ha intraprendere un percorso di sostenibilità di se stesso, andando a sbilanciare il numero di medici e il numero di pazienti, immettendo burocrazia che allunga i tempi di attesa e ne porta via a quelli dedicati alla visita, per cui è stato introdotto un criterio di “temporizzazione” delle visite, contro cui io personalmente sono sceso in campo perché il tempo di una visita si può quantificare ma certamente fino ad un certo punto (sulla Temporizzazione si può consultare su YouTube l’intervista al Prof. Magi ndr).
Attese, lungaggini burocratiche, hanno creato diffidenza da parte del paziente verso il medico, aggravata poi dalle informazioni confuse, spesso fake news a cui ormai il pubblico attinge da internet. Da parte sua anche il medico è diventato diffidente verso il paziente, perché lo percepisce con un’anomala volontà di autonomia, come se potesse capire tutto con un click sul web, sempre meno fiducioso, consapevole dei propri diritti talvolta perfino aggressivo tanto da porre il medico in una posizione di difesa. Nella crisi di questo rapporto medico-paziente poi esiste anche un SSN che non supporta efficacemente né l’uno né l’altro, preoccupato di far quadrare conti sempre più complessi da far quadrare, che schiaccia medici e pazienti con obblighi e regole a discapito di entrambi.
Lei crede la professione del medico abbia necessità di una nuova spinta motivazionale? Quali aree sono migliorabili?
La serenità della professione. Una serenità fatta di tante cose.
Comunicazione corretta. Si deve tornare alla qualità del lavoro, fatta di un dialogo medico-paziente più disteso. Occorre una maggiore comunicazione e dialogo anche con le Istituzioni, il medico oggi ha l’impressione di non essere ascoltato abbastanza. Tra l’altro quella del medico, è una carriera molto complessa e lenta, per cui, tra laurea e specializzazione, prima dei 40/45 anni un medico non riesce ad abbandonare lo stato di precario. Noi medici che abbiamo figli li vediamo spontaneamente scegliere percorsi di studi diversi dal nostro, come se avvertissero il peso della nostra fatica a fronte di guadagni abbastanza normali. Un giovane che deve costruire il proprio futuro certamente guarda anche a queste cose. Un tempo i salari erano abbastanza consoni alle responsabilità e nel tempo consentivano a un medico ad esempio l’acquisto di una casa, oggi non più, anzi, non solo non si acquistano immobili, ma, se ne possiede uno, il rischio è di doverlo vendere per chiudere un contenzioso medico legale con un paziente insoddisfatto.
Professor Magi, a proposito di questo, il documento: “la Medicina Difensiva”, pubblicato sul sito del Ministero della Salute: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_notizie, riguardante un’indagine su 1500 medici effettuata nel 2014. Con particolare riferimento alle pagine 7 e 9 che riassumono dati abbastanza importanti. Cosa ne pensa? Qual è la posizione del SUMAI?
Le liste di attesa lunghe, di cui abbiamo detto in precedenza, non sono solo un disservizio al paziente in quanto attende in circostanze spesso di urgenza, ma complicano anche tutto il lavoro del medico stesso. Guardi, facciamo un esempio pratico, se abbiamo una mole di lavoro per 10 ortopedici, ma ne abbiamo solo uno, quell’uno lavorerà in un regime di stress, gli verrà chiesto di fare presto e bene, visitare i pazienti, individuare la linee guida, sbrigare la parte burocratica, fare tutto da solo. Il che lo rende simile al calciatore che deve battere il rigore decisivo della partita, sotto lo sguardo di migliaia di persone e non deve sbagliare ma può darsi che per la tensione accumulata possa sbagliare il tiro. Mi sono battuto fortemente contro il principio del Tempario, perché non si può fare un’elettromiografia semplice in 5 minuti o prevedere che una visita oncologica ne duri 20 quando c’è da considerare l’aspetto umano, empatico e dell’ascolto del paziente. Sono tempi irrealizzabili e anche pericolosi per la salute dei pazienti perché in così poco tempo un professionista non può svolgere un’analisi attenta e accurata.
Quando metti un medico in un regime di fretta, confusione, pochi mezzi di cui disporre è fisiologico che poi utilizzi lo strumento della medicina difensiva come tutela. Il problema va risolto alla radice. Mancano medici.
Le liste di attesa lunghe, spingono i pazienti, che non conoscono la natura dei propri disturbi, a ricorrere al Pronto Soccorso, per avere subito un esame che li tranquillizzi e questo perché sul territorio non c’è altro tipo di offerta, strutture che possano interagire con gli ospedali in modo rapido ed efficace. Questo implica a sua volta il sovraffollamento di un reparto, come il Pronto Soccorso ospedaliero, finalizzato alle urgenze, tra l’altro con costi enormi. Spesso, dopo essere stato dimesso, il paziente che non ha più punti di riferimento spesso torna al Pronto Soccorso, per “farsi vedere”. Occorre creare una rete di figure sul territorio che possano diventare punto di riferimento per il paziente.
Abbiamo dei dati importanti riguardo i laureati: conclusa la specializzazione il 52% va all’estero. Ogni medico, dalla laurea alla specializzazione costa allo Stato, e quindi al contribuente, ben 400/500mila euro, ogni volta che perdiamo una di queste risorse, perdiamo molto in termini di risorsa umana ma anche economica. In generale, quando perdiamo un giovane laureato, perdiamo una opportunità di know-how utile al Paese, Pil, contributi. Costruirà la sua vita e quindi la sua futura famiglia altrove impoverendo anche demograficamente il paese.
Il SUMAI lavora sulla necessità di coinvolgere i giovani e di farli restare. Di rivalutare la professione. Abbiamo necessità di ricreare la pubblicazione dei turni territoriali di specializzazione. Abbiamo necessità di medici specialisti. Di creare strutture sul territorio che possano interagire con gli ospedali, limitando gli accessi superflui al Pronto Soccorso. Di portare questi temi importanti all’attenzione delle Istituzioni.
Parlando di Medicina e di Robotica, riporto la sintesi di quanto apprendiamo da diversi articoli:
“I progressi mondiali della medicina di precisione si devono a due grandi scienziati nel campo della robotica e della sperimentazione clinica dei farmaci: Garret A. FitzGerald, Professore di Medicina Traslazionale presso la Perelman School of Medicine, Università della Pennsylvania, in USA, nonché Chief Scientific Advisor di Science Translational Medicine, e Guang-Zhong Yang, fondatore ed editor della rivista Science Robotics, come pure direttore e co-fondatore dell’Hamlyn Centre for Robotic Surgery presso l’Imperial College di Londra.
La robotica chirurgica, negli ultimi 25 anni, si è evoluta da ricerca di nicchia ad area di maggior sviluppo nell’ambito dell’ingegneria medica, tanto che nel 2020 si prevede un investimento nel campo dei robot chirurgici e diagnostici di 17,9 miliardi di dollari, con un tasso annuo di crescita del 13 per cento. La progettazione si concentra su robot con braccia dal diametro di un capello, capaci di vedere dentro e sotto gli organi, in grado di esaminare cellule senza bisogno di biopsie, in modo da ottenere diagnosi sempre più precoci.
Nonostante qualche resistenza e i costi non indifferenti, in Italia sono operativi circa 90 robot chirurgici. Dal 1999 a oggi sono stati operati oltre 70mila pazienti e i numeri sono in continua crescita. I principali vantaggi della chirurgia robotica sono la facilità di accesso a zone anatomiche difficoltose, la visione tridimensionale del campo operatorio e le piccole incisioni che consentono di abbreviare la degenza in ospedale. Il limite più importante, soprattutto in tempi di scarsità di risorse come gli attuali, è l’alto costo dell’apparecchiatura, che si attesta tra i 2 e i 3 milioni di euro, cui si deve aggiungere la spesa annuale di manutenzione, circa 100mila euro. Un investimento che si giustifica soltanto con un utilizzo full-time. (fonte: Sole 24 Ore Sanità 17/05/2017)”.
Che cosa ne pensa dell’utilizzo di questi mezzi innovativi? La nostra Sanità come sta affrontando questa nuova era e l’adozione a pieno regime di questi nuovi mezzi?
Sull’utilizzo sono favorevole, per l’opportunità di risoluzione sicura e rapida offerta da questo tipo d’interventi. Sull’adozione a pieno regime intanto non credo che questi robot chirurgici si possano adottare “a tappeto” ovunque; ciascuna tecnologia riguarda un dato campo chirurgico, e può essere adottata pertanto solo da quegli ospedali all’avanguardia, a loro volta eccellenze in quel dato campo in grado cioè di poter usare al meglio questa risorsa. Infine l’investimento economico è notevole e la nostra Sanità non è al momento adeguatamente dotata di una programmazione di queste tecnologie.
L’Italia è un’eccellenza nella robotica, secondo Lei riuscirà a essere tra i Paesi “pilota” in questo ambito di ricerca e sviluppo?
Ritengo lo sia già. L’Università di Lecce in ambito di nanotecnologia è riconosciuta come eccellenza a livello internazionale. Dov’è che casomai perdiamo, è nella commercializzazione e vendita, perché in quell’ambito siamo costretti ad affidarci a ditte straniere che di conseguenza ci impongono le loro regole. L’Italia è un paese pieno d’intuito e creatività, ma ha poca autonomia su questi fronti come su molti altri. Dietro molti progressi scientifici interessanti ci sono spesso studiosi italiani, gente che ha studiato e si è laureata in Italia ma poi ha attuato le proprie sperimentazioni all’estero dove vengono messe a disposizione risorse e mezzi.
E’ un po’ un giro vizioso, in cui i giovani possono determinare il cambiamento del nostro Paese, ma il nostro Paese non dà loro certezze, quindi i giovani se ne vanno e il Paese resta fermo e non progredisce come potrebbe. Bisogna mettere al centro i giovani, attraverso progetti d’inserimento che diano fiducia e nuovo impulso, in generale alla professione di medico fatta qui, in Italia. Ed è quello su cui ci proponiamo di intervenire con dedizione e passione.
Dopo che Magi ha illustrato così tanti aspetti della professione tanto nobile quanto complessa come quella del medico, tornano inevitabilmente in mente le parole di Ippocrate di Coo: “La vita è breve, l’arte vasta, l’occasione fuggevole, l’esperimento malcerto, il giudizio difficile.”