Il porto di Shengjin, in Albania, è diventato teatro del primo sbarco di migranti sotto il nuovo accordo siglato tra Roma e Tirana. La nave Cassiopea della Marina Militare ha attraccato con a bordo 49 persone, intercettate nei giorni scorsi mentre tentavano la traversata del Mediterraneo. La missione, presentata dal governo italiano come un nuovo modello di gestione dei flussi migratori, è iniziata però tra disagi logistici e tensioni sulle procedure di accoglienza e identificazione.
Albania, primo sbarco di migranti a Shengjin: cinque casi vulnerabili torneranno in Italia
I migranti, provenienti da Bangladesh, Egitto, Gambia e Costa d'Avorio, sono stati fatti scendere dalla nave in un clima surreale. Al momento delle procedure di identificazione, nel porto si è verificato un blackout che ha reso ancora più caotica una situazione già complessa. Senza elettricità, l’intero processo si è interrotto per diversi minuti, creando ritardi e ulteriori difficoltà nella gestione degli arrivi.
Secondo alcune fonti locali, l'infrastruttura di Shengjin non sarebbe ancora completamente pronta per far fronte a un'operazione di questa portata. Nonostante le rassicurazioni fornite dal governo albanese e dall'esecutivo italiano, gli operatori umanitari presenti hanno segnalato criticità nell’organizzazione, con strutture di prima accoglienza ancora incomplete e personale medico insufficiente.
Cinque migranti vulnerabili saranno trasferiti in Italia
Tra i 49 sbarcati, cinque sono stati classificati come vulnerabili e saranno riportati in Italia per ricevere assistenza adeguata. Si tratta di soggetti che, per condizioni di salute fisica o psicologica, non possono essere trattenuti nei centri di accoglienza previsti dall’accordo bilaterale.
Ma la valutazione di queste vulnerabilità ha già acceso il dibattito: la selezione è stata effettuata in assenza di un supporto medico indipendente. Le visite sono state eseguite dal personale della Marina, e non dai medici dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), sollevando interrogativi sull’imparzialità delle decisioni. "Manca la garanzia di terzietà", ha dichiarato Marco Scarpa, deputato del Partito Democratico, criticando la gestione della procedura.
Le associazioni per i diritti umani hanno sottolineato come l’assenza di personale sanitario indipendente rappresenti un elemento problematico: senza una valutazione neutrale, il rischio è che alcune persone vulnerabili non vengano riconosciute come tali e restino bloccate in Albania senza le cure necessarie.
Il modello Albania tra propaganda e incognite
Il trasferimento dei migranti in Albania è una delle soluzioni che il governo italiano ha messo in campo per ridurre la pressione sulle strutture di accoglienza nazionali. L’idea è quella di creare un sistema di gestione esternalizzato, simile a quello già adottato in altri contesti europei, come l’accordo tra Regno Unito e Ruanda.
Ma il piano, fin dal principio, ha sollevato dubbi sia a livello politico che umanitario. Le condizioni di accoglienza e il rispetto dei diritti dei migranti sono due questioni cruciali, su cui Bruxelles e le organizzazioni internazionali hanno chiesto chiarimenti. Amnesty International e altre ONG hanno più volte avvertito che il rischio è quello di creare centri di detenzione di fatto, dove le garanzie legali dei migranti potrebbero essere compromesse.
Sul fronte politico, il governo italiano ha presentato l’operazione come un successo, ma i primi problemi logistici e la gestione delle vulnerabilità mostrano come il sistema sia ancora lontano da una piena efficienza. Le autorità albanesi, da parte loro, hanno dichiarato di essere pronte a gestire l’afflusso, ma i primi riscontri sul campo raccontano una realtà fatta di strutture non ancora completamente operative e di difficoltà tecniche evidenti.
Un precedente che farà scuola?
Resta ora da vedere se questo primo sbarco rappresenterà un caso isolato o se segnerà l’inizio di un nuovo modello operativo destinato a diventare strutturale. Di certo, le polemiche non si fermeranno qui. La gestione delle vulnerabilità, la qualità delle strutture di accoglienza e la trasparenza nelle procedure di identificazione saranno i punti chiave su cui si giocherà la credibilità di questo esperimento politico.
Nel frattempo, i 49 migranti di Shengjin sono i primi a testare sulla loro pelle le conseguenze di un accordo che, più che un'operazione tecnica, sembra già essere diventato un banco di prova per il futuro delle politiche migratorie italiane.