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Volo rasoterra

- di: Barbara Leone
 
Alla fine tutto è filato liscio: nessuna protesta, nessuna barricata, nessuna contestazione. Nulla di nulla. E nulla di nuovo sotto il sole, anzi solleone, d’Agrigento in veste natalizia. Del resto, stiamo sempre parlando della terra del Gattopardo. Quello che: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». E così, dopo aver gridato allo scandalo su tutti i social per il “concerto di Natale” ad agosto nella Valle dei Templi, gli spettatori si son presentati docili docili in cappotto e cappello al cospetto dei tre “tenorini” del Volo (tenorini non per tenera età, ma per discutibile qualità) senza batter ciglio. Perché noi italiani siamo così: scendiamo in piazza, sì: ma solo in quella virtuale. E anche se a “culo storto”, ci facciamo andar bene tutto. Anche l’impensabile. Anche la ridicolaggine di un evento surreale come quello di Agrigento, costruito goffamente ad hoc per illogiche (o semplicemente furbe) questioni di marketing. Non una, ma due serate (il 31 agosto e il primo settembre) registrate per andare poi in onda alla vigilia di Natale su Canale 5 e sull’emittente pubblica televisiva americana Pbs. Ottanta euro il costo del biglietto. Un prezzo tutt’altro che popolare, considerando che in cambio non si otteneva solo un posto a sedere, ma anche l’obbligo di indossare abiti invernali in una delle estati più torride di sempre. Obbligo prontamente sostituito, viste le polemiche, dal caldo (è il caso di dire) invito ad indossare abiti eleganti. E di applaudire nei momenti clou: a comando, insomma. Il tutto corredato da due alberi di Natale che troneggiavano sul palco. Una vera e propria pantomima. Per gli spettatori presenti, ma anche per quelli che vedranno l’evento in tv illudendosi che sia genuino, e che ha trasformato uno dei siti archeologici più importanti e suggestivi d’Italia in un cantiere a cielo aperto. 

Nei giorni scorsi, infatti, un’ampia zona davanti al lato est del tempio della Concordia è stata transennata, riducendo al minimo lo spazio disponibile per i visitatori, che si sono trovati di fronte a un’accozzaglia di strutture metalliche, riflettori e amplificatori. Il sito, in entrambe le serate, è stato chiuso al pubblico, lasciando i turisti a bocca asciutta. Sembra quasi che l’amore per la nostra cultura e per il nostro patrimonio storico venga messo in secondo piano, sacrificato sull’altare di un evento televisivo da consumare durante le feste natalizie dal sapore artefatto di panettone e torrone. Sapore artefatto ma soprattutto amaro, visti i costi: 1 milione e 200mila euro. Uno schiaffo in faccia a chi in Sicilia vive ogni giorno le difficoltà di un sistema che fa acqua da tutte le parti. Laddove l’acqua manca, vista la tanto discussa emergenza idrica che negli ultimi mesi ha messo in ginocchio l’intera regione. 

Anche qui, nulla di nuovo. Pare il discorso del Ponte: fa nulla se per andare da Catania a Trapani ci vogliono nove ore e fischia, con 3 o 4 cambi di treno. E “appena” tre ore per percorrere cento chilometri. La priorità della Sicilia per i capoccioni che ci governano è il Ponte sullo Stretto. Allo stesso modo, fa nulla se in Sicilia manca l’acqua per giorni e giorni. L’importante è spendere un milione di euro per un ipotetico ritorno d’immagine. Immagine finta, come gli alberi di Natale ad agosto. 

C’è da chiedersi poi come si possa definire artista qualcuno che accetta esibirsi a queste condizioni, e per di più col pubblico che applaude a comando. Piero Barone su tutti, uno dei tre tenorini, siciliano che ben dovrebbe conoscere le complesse ed irrisolte (ma non irrisolvibili) problematiche della sua meravigliosa terra. Un volo rasoterra, insomma, che lascia dietro di sì solo l’eco del vuoto di ciò che l’arte dovrebbe davvero rappresentare. Perché, al di là dei cappotti e cappelli, quella andata in scena alla Valle dei Templi è una discesa in picchiata verso il conformismo, dove la creatività viene piegata alle esigenze del marketing e dello spettacolo televisivo. Prossimo giro? Magari un bel concerto di Ferragosto a dicembre, con il pubblico in bermuda e pareo a ballare sulle note di “L’estete sta finendo e un anno se ne va…”. Con tutti i neuroni, pochi, rimasti.
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