Vivendi non ha il controllo di Tim, lo dice la Cassazione

- di: G. Loizzi
 
Vivendi, dall'alto del quasi 24 per cento del capitale azionario di Tim, non ha il controllo del gruppo di tlc italiano.  A dirlo è la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con una decisione presa l'11 ottobre scorso, ma resa nota oggi.  La Consob aveva impugnato la decisione del Consiglio di Stato che aveva annullato, su ricorso di TIM e Vivendi, la deliberazione della stessa Autorità di vigilanza sulle attività di Borsa, che qualificava la partecipazione di Vivendi in Telecom Italia come un controllo di fatto. Il Consiglio di Stato a sua volta aveva annullato la decisione del TAR che dava ragione alla Consob. Una vicenda complessa che ha avuto origine nel 2015, con l'ingresso di Vivendi nel capitale di Tim con una quota che, inizialmente, era inferiore al 7%. Quota che, con il passare del tempo, incrementandosi, ha toccato il 24,68 per cento, giustificando il giudizio della Consob sul fatto che Vivendi aveva di fatto il controllo di Tim. 

Vivendi non ha controllo di fatto

Circostanza resa ancora più palese dal fatto che Vivendi, in occasione della riunione del settembre del 2017, aveva nominato la maggioranza dei consiglieri di Tim. Leggendo la decisione della Cassazione si vede che, ad avviso dei giudici, “non vi è stata alcuna creazione di norme inesistenti né alcuna ingerenza nella sfera della discrezionalità riservata all’organo amministrativo essendosi il Consiglio di Stato limitato ad individuare le ragioni giuridiche che imponevano di applicare alla fattispecie i principi giuridici in materia di consultazione pubblica e partecipazione procedimentale con ciò non esorbitando dal proprium della funzione giurisdizionale”.  Poi, dicono i giudici, il ragionamento della sentenza che è stata impugnata ''parte dal presupposto che un’autorità indipendente quale la Consob è attributaria di ampi poteri, caratterizzati da un grado di discrezionalità (sia essa amministrativa o tecnica) piuttosto elevato e che ciò impone il conferimento dei poteri medesimi a mezzo di disposizioni normative non formulate con un grado di eccessivo dettaglio''.

L'inammissibilità, quindi, del ricorso, deriva dalla considerazione che questa ampiezza di poteri “determina in sé quella che il giudice amministrativo ha definito una ‘dequotazione’ del principio di legalità sostanziale. Quest’ultimo, cioè, benché parzialmente vulnerato, non viene del tutto pretermesso: lo specifico potere implicito individuato viene ritenuto legittimo e ammissibile in quanto elemento e condizione di effettività dell’esercizio di una funzione espressamente attribuita, a sua volta strumentale al conseguimento delle finalità individuate dalla legge. Ed allora, ad avviso del Consiglio di Stato, a fronte di tale ‘dequotazione’, occorreva fare applicazione delle garanzie relative alla consultazione pubblica ed alla partecipazione al procedimento previste in via generale ed idonee, nello specifico, a compensare quel vulnus al principio di legalità sostanziale sopra evidenziato”. Il pronunciamento dei giudici di Piazza Cavour potrebbe ora indurre Vivendi a riproporre le sue strategie, anche perché  le dimissioni di Arnaud de Puyfontaine, da consigliere di Tim, aiuterebbe il gruppo francese in quel percorso di ''discontinuità nella governance”, guardando direttamente al ruolo del presidente Salvatore Rossi. E quindi torna in pista il nome di Massimo Sarmi, già componente del board di Tim, quando ha preso il posto, a novembre, di Frank Cadoret. 
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