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Va bene bamboccioni... ma qui si esagera

- di: Barbara Bizzarri
 
Nella sua fondamentale trilogia caposaldo della letteratura italiana e di un costruttivo discorso sulla famiglia, composta da “Come ammazzare la moglie”, “Come ammazzare il marito” e “Come ammazzare mamma e papà”, Antonio Amurri (se non sapete chi sia non ci sono giustificazioni, soltanto vergogna), a proposito dei rapporti tra genitori e figli, scriveva di un padre che, sconsolato dalla nullafacenza del proprio tenero virgulto, lo apostrofa con un: “non posso mantenerti come se fossi un Vanderbilt. Lavora, imbecille!”, ed è più o meno la stessa cosa che potrebbe aver pensato la madre esasperata che alla fine si è rivolta al tribunale, quando ha deciso di denunciare i figli per riuscire a metterli alla porta: giustamente, si potrebbe chiosare. 

In breve, una vedova 75enne, esacerbata dalla prole ormai ultraquarantenne che non si decideva a uscire dal nido nonostante avesse raggiunto una certa indipendenza economica, ha scaraventato fuori, con il placet del giudice Simona Caterbi, i due bamboccioni, colpevoli anche di non aiutare in casa, da nessun punto di vista: in pratica, due adolescenti tardivi. Cose che capitano, quando invece di normali individui si pensa di aver generato dei piccoli Buddha e ci si regola di conseguenza fino a quando la presunta intangibilità di costoro arriva a un livello parossistico, e fin troppi ce ne sono in giro, di cocchi belli di mamma che, da sempre abituati all’adorazione, poi diventano insopportabili a un punto tale da potersene liberare soltanto con l’ausilio della legge, che, oltretutto, mica è sempre garantito. 

Una vicenda degna della migliore commedia all’italiana
(quanto mi manca Monicelli, ne avrebbe tratto un capolavoro), spesso narrata sul grande schermo in più declinazioni, dal francese Tanguy (nella foto), al remake hollywoodiano Failure to Launch, in Italia “A casa con i suoi” (sempre per questo vezzo nostrano di appioppare titoli improbabili ai film stranieri), fino agli Immaturi (appunto) di casa nostra, in cui Maurizio Mattioli si commuove quando il figlio, interpretato da Ricky Memphis, annuncia di andare a cena fuori, ‘per la prima volta in dieci anni’, singhiozza il padre. In questo paradigmatico, cinematografico caso, Lorenzo è talmente attaccato alle quattro mura familiari che, nonostante faccia l’agente immobiliare, riesce a convincere i clienti che stare da mammà è tanto più comodo rispetto alle incombenze della vita da adulti: pasti sempre pronti, camicie stirate, nessuna preoccupazione per assumere colf e personale di servizio. 
 
In pratica, la motivazione più classica e astuta per una scelta del genere ma, a quanto pare, dopo anni di convivenza forzata, la madre di cotanti tizi ha finalmente deciso che “questa casa non è un albergo”: oltretutto, la famiglia in questione vive a Pavia, città natale degli 883, che hanno immortalato questo classico del lessico familiare in una delle prime hit, e grazie alla sentenza, entro il 18 dicembre i due scapoloni dovranno cercare una nuova abitazione. Chissà quale sarà l’atmosfera familiare fino ad allora, ma del resto Oscar Wilde, nella sua infinita saggezza, ci aveva ammoniti: “I figli iniziano amando i genitori, poi li giudicano. Raramente, se non mai, li perdonano”.
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